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Politica

SERIETÀ

EDOARDO ZIN - 12/06/2020

recovery“La nostra Europa è un’avventura comune che continueremo a fare, nonostante voi, nel vento dell’intelligenza”: così Albert Camus parla ai suoi nemici in “Lettere a un amico tedesco” scritto nel pieno degli anni neri, durante il periodo della guerra clandestina.

Oggi quel “nonostante voi” potrebbe essere rivolto ai sovranisti di casa nostra e di altri paesi d’Europa e ai paesi cosiddetti “frugali”. L’ansia di apparire sui teleschermi, la tensione al riconoscimento, la difficoltà di seguire un ragionamento portano i primi a disconoscere anche la realtà. Per negarla ricorrono alla menzogna o alle frasi fatte che sono pronti a rinnegare dopo poco pur di ribadire il loro odio verso un nemico che può essere il diverso, il migrante, l’intellettuale. Da un po’ di tempo l’avversario da combattere è l’Europa. A questi sovranisti interni si associano i loro soci dell’Ungheria, della Polonia, della Repubblica Ceca e, seppur in misura minore, della Slovacchia. I paesi rigoristi sono Austria, viziata anche dal male del nazismo, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia.

Il prossimo 19 giugno il Consiglio Europeo dovrà approvare la proposta della Commissione destinata al sostegno e allo sviluppo delle economie dei Paesi Membri per un valore di 750 miliardi dei quali 500 come sovvenzione “a fondo perduto” (locuzione a cui occorre dare un significato ben preciso e di cui diremo in seguito!) e 250 come prestiti da finanziare mediante obbligazioni emesse dalla stessa Commissione sui mercati finanziari. Tale proposta è già stata approvata dal Parlamento Europeo a schiacciante maggioranza (per inciso: i deputati della Lega hanno votato contro!), ma non è ancora stata deliberata dal Consiglio Europeo.

Per maggiore chiarezza apro una parentesi per precisare che questo farraginoso meccanismo legislativo deriva dal fatto che l’Europa non è ancora politicamente unita. Semplificando, la Commissione assume il ruolo di chi propone (rappresenta, in un certo senso, il governo dell’Unione), il Parlamento Europeo (che rappresenta i cittadini dell’Unione) approva o meno la proposta della Commissione, proposta che, per divenire operativa, necessita però dell’approvazione unanime del Consiglio Europeo che rappresenta i governi dei 27 paesi membri. Nonostante questo complesso apparato, le istituzioni europee hanno saputo affrontare al meglio la grave crisi che si è verificata in Europa a causa della pandemia.

Dopo molti anni di stagnazione e sconforto, la Commissione ha sospeso i limiti dell’indebitamento previsti dal Patto di Stabilità e alleggerito i vincoli degli aiuti di stato. Il Consiglio Europeo ha già approvato un piano di prestiti agli Stati membri per un totale di 540 miliardi suddiviso in tre programmi: un sostegno di 100 miliardi per il sostegno alle casse integrazioni, prestiti della BEI per investimenti alle piccole e medie imprese per un ammontare di 200 miliardi, prestiti non condizionati del MES destinati a interventi nel settore sanitario per un ammontare di 240 miliardi. La BCE – organo che possiamo definire “federale” – ha approvato l’acquisto di titoli del debito pubblico e privato dei Paesi Membri per un totale di 750 miliardi, a cui si sono aggiunti ultimamente altri 600 miliardi che la BCE compererà fino al 2021.

La novità assoluta dell’ultima iniziativa, che sarà sottoposta alla decisione del prossimo Consiglio Europeo consiste nel fatto che il recovery fund (= fondo di recupero) entrerà nel bilancio comunitario e l’indebitamento diverrà strumento per il finanziamento del bilancio dell’Unione. Oltre ad essere una ragguardevole forma di solidarietà, il fondo può rappresentare il primo passo verso una comune politica di bilancio. Una svolta decisiva, un grande successo per il cammino verso l’unità politica europea.

Che cosa succederà venerdì a Bruxelles non lo sappiamo, ma possiamo prevedere che la proposta della Commissione non sarà facile, in particolare presso i quattro paesi rigoristi e presso alcuni dei Paesi dell’Europa Centrale, poco interessati al progresso dell’integrazione europea se non per i loro interessi immediati. Prescindendo da Danimarca e Svezia che non aderiscono alla moneta unica, Paesi Bassi ed Austria sono contrari al recovery fund perché diffidano, fin da Maastricht, della partecipazione del nostro Paese a causa della nostra storica incapacità di tenere i conti in ordine e di rispettare le regole, come è indispensabile quando si vive in un condominio. Levarono il loro veto solo quando l’allora ministro delle Finanze Carlo Azeglio Ciampi si presentò come garante della disciplina di bilancio, sospinti in questa decisione anche dall’atteggiamento del cancelliere Kohl come garante della volontà dell’Italia di attuare le necessarie riforme strutturali. Dopo meno di un anno i due interlocutori non erano più al loro posto…e il nostro debito continuò a schizzare fino al 135% del 2019 e ad una prospettiva di avvicinarsi al 160% di quest’anno.

Non vorrei che questa smania di spendere gli aiuti europei che ci verranno concessi fosse l’ulteriore prova che gli italiani sono delle “cicale”. Le incaute dichiarazioni del ministro degli Esteri Di Maio, che ha proposto l’uso di queste nuove risorse per far abbassare le tasse, hanno provocato l’indignazione degli altri Paesi. La dicitura “a fondo perduto” ha alimentato, inoltre, questo nostro vizio. Alcuni aiuti non sono prestiti, certo, ma devono essere utilizzati per programmare investimenti in settori specifici e non dati “a pioggia” come aiuti assistenziali. Attuazioni delle riforme strutturali e lotta all’evasione fiscale sono temi su cui insistono i nostri sodali nel comune progetto d’integrazione europea. Noi italiani, d’altro canto, dovremo dimostrare di rispettare le regole di bilancio ed esercitarci a vivere più sobriamente per permettere ai nostri figli e nipoti un futuro sicuro.

Nonostante la passione perversa delle urla gridate in piazza che fanatizzano le folle, nonostante l’infatuazione di piccoli gruppi che spargono odio, nonostante il dogma della faziosità nata come reazione alla ragionevolezza di chi vuol capire, nonostante l’ignoranza della partigianeria, nonostante i populismi xenofobi, nonostante vecchie contese di frontiera, nonostante coloro che negano per principio quel grande movimento che da più di settanta anni sta costruendo un paese più grande dei nostri 27 paesi, nonostante la tracotanza brutale di Trump, la sfacciata abilità di mentire di Putin e l’arroganza melliflua di Xi Jinping, l’Europa si costruirà. Essa è nata dall’utopia e dal malcontento, ma senza i popoli che la scandissero nelle piazze ed è forse questo l’errore originario: l’assenza di passione popolare. È divenuta matura grazie all’impegno di uomini dotati di forte vigore morale, si è sviluppata nella calma della discussione condivisa.

Vedremo venerdì prossimo se l’Unione Europea sarà capace di riprendere il suo lungo e tentennante processo di unificazione europea e rigenerarsi in una federazione di stati nazionali. La pandemia che ha tutti colpito, la grave crisi economica che ne seguirà, i processi di globalizzazione lo impongono. I ventisei Capi di Governo e il Presidente della Repubblica Francese devono sapere che o ci salveremo tutti assieme o periremo tutti assieme. Ci affidiamo alla loro intelligenza che deve comprendere che niente sarà come prima e che l’Europa non può tornare indietro.

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