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Opinioni

CAMBIAMENTI

FELICE MAGNANI - 12/06/2020

scuolaL’educazione è anche fantasia, immaginazione, progettualità, visione e soprattutto missione. La figura dell’insegnante/missionario ha spopolato negli anni del dopoguerra, quando al primo posto figurava il voto di condotta, quando la scuola era soprattutto maestra di vita quotidiana. In quella scuola il comportamento aveva un ruolo primario e da quello dipendeva tutto il resto. Potevi essere dotato di una superintelligenza, potevi essere bravissimo in tutte le materie, ma se ti comportavi in modo indisciplinato ti beccavi un bel sette in condotta e andavi a settembre con tutte le materie. Rovinarsi l’estate era da stupidi. Chi avrebbe rinunciato ai giochi e alla spensieratezza per rimanere chiuso in casa, con un caldo soffocante, a ripassare la storia, la geografia, il latino, la matematica? Bisognava proprio essere matti. Ma i matti ci sono sempre stati, sfidarsi e sfidare è sempre stato un sogno sognato un po’ da tutti, soprattutto da chi della baldanza ne faceva addirittura una questione di superomismo o di bullismo come lo chiamerebbero oggi, per dimostrare che la trasgressione poteva anche essere una virtù al contrario. Il problema era che restare tutta l’estate a casa sui libri e magari dover aiutare i genitori nelle attività quotidiane era un impegno lacerante, ma contemporaneamente un insegnamento straordinario. Per quale ragione? Perché imparavi sul campo che nella vita non si poteva sgarrare e che ad ogni azione ne corrispondeva una altrettanto forte e coraggiosa. Dunque tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta la disciplina era la materia principe, quella che determinava tutto il resto. Quando un genitore andava alle udienze la prima cosa che chiedeva all’insegnante era: “Come si comporta mio figlio?”. Nella società post bellica e preindustriale comportarsi bene era un segno distintivo che apparteneva a tutti. Tutte le famiglie, anche le più semplici, quelle che avevano meno mezzi a disposizione, insegnavano, non solo insegnavano, ma imponevano ai propri figli il massimo rispetto delle regole. Le regole riguardavano la scuola, ma anche la vita familiare, quella sociale, quella morale, quella religiosa, quella politica, insomma da qualsiasi parte giravi gli occhi o il naso vedevi o sentivi che l’educazione era lì pronta a farti riflettere su quello che stavi facendo e soprattutto su come avresti dovuto farlo. Le riforme scolastiche successive, messe insieme con molta approssimazione e con molta presunzione, hanno definito antidemocratico l’invio a ottobre con tutte le discipline, filosofeggiando sulla maturità, sulle novità della nuova educazione democratica, pensando che gli esseri umani, in quanto umani, potessero formarsi una perfetta cultura dell’autoconservazione, senza badare troppo a tutto ciò che avere odore o sentore di regola, norma, comportamento o legge. Si sa, gl’italiani hanno sempre avuto una epidermica repulsione nei confronti delle regole, se vuoi infatti far imbestialire un italiano digli che deve fare quella cosa perché la regola glielo impone. Se dici a qualcuno che non deve buttare la carta per terra o i cicchi delle sigarette, stai pur sicuro che farà tutto il contrario, li butterà e proverà una soddisfazione immensa. E come se in quel momento pensasse: “Hai visto che te l’ho fatta?” “Hai visto che faccio quello che voglio?”. All’italiano non importa che quella cosa lì la devi fare perché nella vita delle persone c’è un ben comune di cui tutti sono responsabili e che comportarsi bene significa vivere in un ambiente bello, sano, pulito, significa essere apprezzati da tutti coloro che ci vengono a trovare e che osservano i luoghi dove abitiamo. In questo senso ti rendi conto di come sia la scuola sia la famiglia abbiano inciso in modo del tutto insufficiente nell’acquisizione di una formazione civica responsabile e adeguata. La nuova società prendeva così atto di un radicale cambiamento di rotta, ma senza avere riscontri adeguati, tanto è vero che i problemi di natura educativa uscivano fuori da varie forme di leggerezza, da una libertà scambiata per: “Faccio quello che voglio e non mi rompere…”. Veniva così a cadere l’autorità di un sistema e al sistema si sostituiva l’interpretazione o come si usa dire oggi un certo tipo di percezione. Le percezioni erano soprattutto basate su un certo tipo di formazione e la formazione risentiva pesantemente di un certo indirizzo ideologico. Se eri di manica larga e lasciavi correre, riassumendo il tutto in una semplicissima ramanzina rappresentavi il nuovo volto democratico del sistema, se alzavi il tono della voce o se ti inventavi qualche punizione ad hoc c’era il rischio di essere tacciato di essere un’appendice del fascismo. Si stavano creando le premesse per la nascita di un sessantotto che avrebbe sovvertito l’ordine istituzionale regolare, sostituendo il vecchio sistema educativo con uno nuovo, capace di profezie e miracoli. Non tutto si è risolto subito e con rigore, per molto tempo l’educazione è stata al centro di una furiosa battaglia ideologica combattuta da eserciti contrapposti, da una parte i tutori di una scuola disciplinata e selettiva, dall’altra i fautori di una scuola formalmente aperta a ogni tipo di sperimentazione. Sul fronte si combattevano la tradizione e l’innovazione, la storia passata e quella moderna, la regola imposta e quella incontrata, la divisione e l’omologazione, per molto tempo c’è stato chi dava l’attenti in classe e chi entrava dopo il suono della campanella senza dare troppa importanza all’ora d’inizio lezioni. La tendenza era quella di sciogliere sistematicamente, ma con pervicacia, il vecchio sistema di regole, quello che aveva mandato a ottobre un sacco di ragazzi a riflettere sulla trasgressione e sulla mancanza di disciplina. Nella scuola potevi incontrare il vecchio insegnante nostalgico delle regole ferree e quello giovanissimo, magari anche capace di insegnare a gambe incrociate o con le scarpe appoggiate su un’altra sedia o sulla cattedra. Il mondo era radicalmente cambiato. “Hai visto quell’insegnante che ganzo?” “Quello si che se ne frega, è uno che sta dalla nostra parte, arriva tardi al mattino, esce quando vuole, torna quando vuole, è di salute cagionevole per cui sta a casa spesso e quando entra in classe scoppia il finimondo, perché tanto lui non dice niente anzi, sostiene che i ragazzi devono sentirsi liberi, devono poter scaricare tutte le loro energie negative”. In base a questa teoria se avevi una classe vicina a una di queste ti mettevi le mani nei capelli e l’istinto era quello di andare dove era scoppiata la guerra per rimettere le cose a posto, poi lasciavi perdere perché violare la privacy non rientrava nei codici educativi della scuola, dovevi sopportare, far finta di niente o eventualmente dire sottovoce alla preside che nell’inferno non era possibile fare lezione. È in questo clima di generale smantellamento di disciplina, di ordine e di rispetto che la scuola è crollata a pezzi, con insegnanti che al colmo dell’esasperazione venivano a chiamarti perché li aiutassi a rimettere in ordine una classe di scalmanati. In questo modo l’autorità dell’insegnante andava a farsi benedire e i ragazzi se ne accorgevano, combinandone di tutti i colori. Passare da una scuola troppo chiusa a una troppo aperta comporta sempre dei rischi, perché molti non sanno che oltre agli estremi esistono anche le vie di mezzo, quelle che dovrebbero sembrare sempre più simili a una convinta e liberale forma di democrazia moderna. In fondo la democrazia non dovrebbe mai essere troppo di parte, dovrebbe raccogliere in modo saggio e pacato i consigli e le stimolazioni di tutte le forze che la compongono, cercando di unire ciò che è giusto unire per rafforzarla, per renderla sempre più amata e rispettata dai cittadini. La scuola di questi anni è stata figlia di una democrazia che in molti casi non solo ha chiuso un occhio, ma li ha chiusi entrambi, permettendo così l’insorgenza di fenomeni di natura trasgressiva, in molti casi difficilmente perseguibili anche per varie forme di reticenza democratica. La scuola è crollata non solo sul piano della disciplina generale, ma è proprio crollata come struttura, in alcuni casi abbiamo assistito al crollo murario di costruzioni ormai ridotte a un ammasso obsoleto di muri ridotti a ruderi e siamo stati testimoni di giovani morti e di giovani rimasti feriti. Non si è mai parlato di un piano di rinnovamento strutturale, di una scuola che potesse realmente rappresentare anche solo l’idea di cosa potesse significare vivere in un ambiente accogliente, attrezzato, situato in luoghi aperti, capaci di raccogliere e orientare le energie giovanili. Tutta quella forza libertaria vagheggiata nel sogno del pensiero sessantottino è rimasta orfana, non ha seguito le indicazioni di un mondo che stava cambiando e che chiamava a raccolta una politica sempre più distratta e incapace di farsi carico dei problemi veri di una democrazia, quelli cioè che la qualificano, che la determinano, che la fanno amare o disprezzare non solo in campo nazionale, ma nel mondo intero. Oggi si parla di soldi che dovrebbero arrivare, ma siamo sicuri che chi li riceverà, se li riceverà, sarà in grado di indirizzarli là dove la democrazia si forma giorno per giorno con tanto amore e tanto sacrificio? Siamo sicuri che chi sta al vertice delle nostre istituzioni abbia ben chiaro il senso e il significato di cosa significhi far crescere una gioventù capace un giorno di continuare con passione ed entusiasmo l’opera democratica iniziata da quei vecchi che, per la patria, hanno dato la propria vita. E allora cerchiamo di non perdere di vista l’obiettivo finale, quello di ricostruire una società civile e uno stato che sappiano valorizzare la scuola, la sua forza, la sua capacità educativa, di crescere dei giovani coscienti della loro identità e della loro dignità, capaci di valorizzare l’insegnamento ricevuto per la costruzione di un futuro migliore per tutti e soprattutto di mettere in campo una classe docente che abbia tutto quello che è necessario per fare il proprio lavoro bene e in modo sereno e tranquillo, magari confortata da uno stipendio che la faccia sentire importante, che la stimoli a fare senza dover vivere nell’incertezza e nell’anonimato. Avere una classe insegnante motivata ed entusiasta è fondamentale, soprattutto nella fase di passaggio di quelle emozioni positive che segnano il senso di responsabilità dei ragazzi e delle famiglie.

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