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Opinioni

MONTANELLI/1 IMPERITURO

SERGIO REDAELLI - 18/06/2020

montanelliSecchiate di vernice rossa sulla statua di Indro Montanelli nei Giardini di Porta Venezia a Milano, contumelie spray contro il monumento di Winston Churchill a Londra, decapitati e presi a martellate i busti di Cristoforo Colombo in mezza America: l’ondata antirazzista scaturita dalla barbara uccisione di George Floyd sotto il ginocchio della polizia a Minneapolis, negli Stati Uniti, dilaga nel mondo più velocemente del contagio da Covid-19. Contestati i simulacri di personaggi che fino a ieri sono stati al centro della stima collettiva. Con qualche eccezione.

A Montanelli principe del giornalismo italiano non viene perdonato (e non è la prima volta) un episodio del 1935 quando, volontario nella guerra coloniale in Eritrea, comprò dalla famiglia per 350 lire una bambina indigena di 12 (o di 14) anni, Fatima Destà, che sposò con un contratto di madamato, in pratica a scadenza. In un’intervista televisiva del 1969 il giornalista la definì “un animalino docile”, parole che oggi suonano da predatore maschilista e configurerebbero i reati di pedofilia e stupro.

Non importa che quelli fossero gli usi e i costumi in auge in quel popolo e che la giovanissima moglie, poi andata sposa a un eritreo, abbia chiamato il suo primo figlio Indro e abbia accolto il giornalista come un padre quando lo rincontrò nel 1952. La Rete Studenti Milano e il Laboratorio universitario metropolitano rivendicano l’azione di imbrattamento della statua e l’organizzazione antifascista i Sentinelli chiede al sindaco Sala di rimuovere il monumento e di revocare l’intitolazione del parco al giornalista.

Nelle interviste e nei suoi libri, Montanelli non si pentì mai di quella vicenda, anzi la raccontò più volte giustificandola con i tempi, le usanze e le circostanze. Quanto basta, a chi ha danneggiato la statua, per affermare che la sua reputazione è irrimediabilmente infangata di fronte alla storia. E’ stato fatto notare che l’episodio va riferito alle condizioni culturali dell’Abissinia in quel tempo, quando la vita media era di quarant’anni e una ragazzina di quattordici poteva sposarsi; che è una vicenda rapportata ad un’altra civiltà e in qualche modo rispettosa delle abitudini del luogo in cui accadde.

Che Montanelli sia stato in seguito un maestro del giornalismo libero e indipendente, un luminoso esempio per chiunque faccia il suo mestiere, ha poca importanza per chi lo critica. Tuttavia la statua gli è stata intitolata proprio per quello. Non certo per i trascorsi fascisti e per i suoi a volte discutibili atteggiamenti successivi. Non si possono cambiare a posteriori, a picconate, la storia e la mentalità di un’epoca, un’epoca violenta e imperialista come il fascismo, affarista come la  Spagna di Isabella di Castiglia o tragica come la guerra che vide il conservatore Churchill, teorico del dominio coloniale britannico, opporsi alla Germania razzista e antisemita di Hitler.

A cosa serve demolire i simboli del passato? Sarebbe più utile denunciare i rigurgiti razzisti, tutt’altro che rari, che si annidano nella società d’oggi e nei suoi protagonisti. E ha senso predicare la tolleranza praticando la violenza? Ex fascisti furono Ungaretti, il Premio Nobel Fo, Piovene e tanti altri divenuti poi campioni di straordinarie sensibilità umane ed artistiche. Al rogo dunque il loro teatro, le poesie, i romanzi? L’esempio di Montanelli maestro del giornalismo che non si inchina ai potenti, che non si lega ai carri politici al contrario di ciò che oggi sembra essere diventata la regola, non ha bisogno di statue. E’ comunque un modello.

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