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Libriamo

VARESE DEGRADATA

DEDO ROSSI - 26/06/2020

case-3Pare di vederlo ancora, Luciano Gallina, con quella sua aria solitaria, un po’ malinconica, nascosta da una barba grigia non curata. Lo potevi trovare sulla porta del suo negozio di cose vecchie all’inizio di via Morazzone, dove la strada inizia a salire verso Biumo Superiore. Guardava la gente che entrava e usciva dal tribunale, sempre troppo in fretta per i suoi ritmi. Oppure lo incontravi in giro per le strade percorse rigorosamente a piedi, le mani infilate nel giaccone, come se non avesse mai una méta precisa, con quella sua aria da anarchico sempre un po’ in disparte.

Un giorno mi aveva proposto di accompagnare con le mie immagini un suo testo sul degrado di alcuni edifici di Varese”, racconta Carlo Meazza, fotografo.

Era nato così, nel 1986, “Le case alla deriva”, sottotitolo “Varese dimenticata”, Edizioni del Periscopio, stampato dal Consorzio Artigiano LVG di Azzate. Un libro ideato, creato e pagato dall’autore.

edificio Piccoli di Padre Beccaro oggi sede del Gulliver

edificio Piccoli di Padre Beccaro oggi sede del Gulliver

“Non avevo ben capito, allora, il valore di questa proposta di Gallina – confessa Carlo Meazza – Mi ero limitato a fare delle fotografie professionali. E a tanti anni di distanza penso che, se avessi compreso meglio il valore dell’idea, sarei forse entrato più profondità dentro un tema che meritava attenzione.” E prosegue Meazza: “Gallina era un utopista, un sognatore: guardava alle case non come realtà architettonica ma con una particolare attenzione allo spirito del vissuto e come il tempo ne segni il valore. Per Gallina, abbandonare le case era un po’ come abbandonare le persone che hanno animato negli anni questi edifici.”

Quello di Gallina e Meazza non è solo uno dei tanti libri su Varese. Rappresenta un documento

edificio di fronte al cinema Impero

edificio di fronte al cinema Impero

importante, un esempio di come fosse in quegli anni la situazione della città, come non si fosse ancora affrontato dal punto di vista culturale, prima che economico, il grande tema del destino di Varese. Ecco: un documento sul passaggio tra l’abbandono dopo il boom economico e la presa di coscienza che fosse giunto finalmente il tempo di rimettere le cose a posto.

Nella presentazione del libro, Ovidio Cazzola allora presidente dell’Ordine degli Architetti, aveva scritto: “Quello di Gallina non è un elenco di presenze edificate, è un incontro personale con situazioni che lo spingono a riflessioni amare”.

Cosa è rimasto, dopo trentacinque anni, di quella denuncia? Molti edifici hanno trovato una soluzione felice. Villa Bonomi in via Cereda, da casa dei fantasmi è stata trasformata in un lussuoso condominio. La chiesetta in centro a Sant’Ambrogio, da deposito di cassette della frutta è tornata al suo ruolo di luogo di preghiera. L’Area Cagna, il teatrino di via Sacco, il vicolo Canonichetta, la Conciaria, la Villa Cagnola alla Rasa, la casa dei Piccoli di Padre Beccaro, il rudere davanti al Cinema Impero: tutti questi edifici hanno trovato una soluzione, alcuni grazie ad interventi dell’ente pubblico. Altri, presenti nel libro, soffrono ancora della stessa agonia: il Castello di Belforte e l’imbocco di via Walder, ad esempio.

Vicolo Canonichetta a Varese negli anni '80

Vicolo Canonichetta a Varese negli anni ’80

Gallina non nascondeva il suo sogno utopistico. Lo esprimeva con dolente passione. Si chiedeva come sarebbero state accolte le denunce esposte nel suo libro. Scriveva: “Il rischio, il guaio, è che vengano capite male, che vengano intese solo come sfoghi di un cittadino deluso, un mugugno, appunto, senza esiti possibili e senza risultati utili”. E concludeva con una proposta (o forse, meglio dire con un sogno): un grande prestito pubblico dei cittadini al Comune di Varese (come era stato fatto nel 1929 con il “Prestito Civico”), finalizzato al recupero degli edifici morenti. E terminava: “La mia proposta immaginata è frutto di una inguaribile tendenza alla fiducia nella gente. Affidiamola ai tecnici perché la studino a fondo. Chissà ne esca qualcosa di buono: e di buon augurio”.

Una proposta ingenua? Certo. Ma comunque un bel gesto d’affetto.

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