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Attualità

SMART JOURNALISM

SERGIO REDAELLI - 01/07/2020

pcRischia di diventare la linea del Piave tra diverse generazioni e filosofie di vita: da una parte i millenials che vedono nello smart working l’auspicabile equilibrio tra la vita professionale e quella personale, una valida innovazione in grado di fornire a chi lavora maggiore autonomia, risparmi economici e di tempo; dall’altra chi lo giudica una trappola, sicura dispensatrice, sulla distanza, di insoddisfazione e stress. Il cosiddetto lavoro agile, disciplinato dalla legge 81 del 2017, è in Italia ben al di sotto della media europea del 3,3 per cento per le donne e 3,6 per gli uomini, ma sta provocando una piccola-grande rivoluzione nel mondo del lavoro.

A cominciare dalle redazioni dei giornali. Adottata su vasta scala durante il lockdown per l’epidemia da Covid19, la sperimentazione del lavoro da casa ha già cambiato il modo di lavorare nei media che garantiscono un servizio pubblico essenziale al pari degli ospedali, delle scuole, delle farmacie e dei supermercati. Una procedura d’emergenza per nulla indolore, che ha spinto anzi il segretario della Federazione nazionale della stampa, Raffaele Lorusso, a lanciare l’allarme: “Lo smart working non può essere la regola per l’informazione professionale. La sua regolamentazione dovrà essere affrontata con gli editori e declinata nelle singole aziende”.

Se può funzionare per gli inviati e i corrispondenti, per i vaticanisti e i cronisti parlamentari, il nucleo centrale del giornale, per Lorusso, non può che essere costituito da persone che fisicamente si trovano nello stesso luogo, che discutono e si confrontano in un processo collettivo in condizione di contiguità materiale e intellettuale. Anche all’esterno il mestiere deve rimanere quello di chi assiste alle cose in prima persona, fa domande, cerca di capire e spiega al lettore o a chi ascolta. L’organizzazione tecnologica va applicata dentro le redazioni e non rivoluzionarle dall’esterno.

Caso emblematico è quello de Il Messaggero, il quotidiano della capitale e del Lazio. L’edificio in via del Tritone 152 è chiuso dal 10 marzo, il giorno dell’entrata in vigore del decreto governativo sul lockdown. E lo sarà fino a settembre. Tutti a casa, il direttore e i giornalisti. Il quotidiano si fa a domicilio. Le riunioni di redazione si svolgono in videochiamata, due volte al giorno. Grande uso di WhatsApp, ogni redazione ha il suo gruppo. Lavorano da casa anche i tipografi, i grafici, gli amministrativi e i tecnici informatici. Il centralino devia le telefonate dall’esterno sul cellulare dei diretti interessati. E l’azienda ha decurtato i compensi dei collaboratori.

Certo, le tentazioni non mancano, soprattutto per gli editori che possono sfruttare l’occasione di avere meno personale e risparmiare sui costi di sedi, materiali e retribuzioni. Ma la situazione è drammatica anche per loro. Con la perdita di fatturato pubblicitario, i giornali vendono meno, riducono la foliazione e tagliano gli inserti. Secondo il presidente degli editori Andrea Riffeser Monti, nel primo semestre 2020 le imprese subiranno una perdita di ricavi di 403 milioni per il crollo degli investimenti pubblicitari e per la contrazione dei ricavi da vendita. E saranno necessari 119 milioni per favorire l’uscita di 1400 prepensionati.

Come ci si salva? Il governo ha varato un pacchetto di misure che vanno dai benefici fiscali per le imprese che fanno pubblicità sui media all’abbattimento delle tasse sulle copie rese, dal credito d’imposta sull’acquisto della carta a quello per la dotazione di servizi digitali. Tutti d’accordo anche sul fatto che servono più investimenti degli editori. E lo smart working? Torniamo al quesito di partenza. È una prospettiva valida per il futuro? Intervenendo a un dibattito online della Fondazione Murialdi, Giancarlo Tartaglia osserva che la legge 81 del 22 maggio 2017 sancisce che il lavoro da casa si possa attuare in accordo tra il datore di lavoro e il singolo lavoratore.

La disposizione trova però un limite nel Contratto giornalistico che prevede l’obbligo del preventivo accordo collettivo tra il direttore e i rappresentanti della redazione. Nelle aziende editoriali dei quotidiani e dei periodici, l’organizzazione del lavoro è di esclusiva competenza del direttore del giornale, sentito il comitato di redazione. Ciò significa che non compete all’editore definirla. Quindi il lavoro da casa non può essere unilateralmente introdotto dall’azienda, né contrattato tra l’editore e il singolo giornalista. Deve essere il frutto del confronto tra il direttore e i rappresentanti sindacali dei giornalisti. Spetta a loro, dunque, fare rispettare le regole.

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