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Editoriale

CIPRIA

MASSIMO LODI - 10/07/2020

zingarettigrilloNon è bizzarra l’idea del Pd d’insistere su una riforma della legge elettorale da approvarsi entro la fine di luglio alla Camera. Se questo accadesse, risulterebbe difficile, e forse impossibile, l’eventuale ricorso a elezioni anticipate in autunno, ciò che reclama gran parte dell’opposizione (Lega e Fratelli d’Italia). Bisognerebbe infatti, per poter votare, che anche l’altro ramo del Parlamento licenziasse la riforma, procedura non attuabile con rapidità. Dunque i tempi s’allungherebbero, con vantaggio della coalizione giallorossa.

Perché il segretario dei Dem Zingaretti e il sanctus sanctorum dei Cinquestelle Grillo prevedono d’aver bisogno del maxindugio? Perché i pronostici sulle regionali di fine settembre sono a favore d’affermazioni a prevalenza centrodestra, ipotesi che, divenuta realtà, metterebbe alle corde il governo Conte di cui verrebbero sollecitate le dimissioni. Rifiuto insostenibile politicamente: sarebbe in grado di difenderlo solo una motivazione tecnica. Quella cui s’è appena accennato.

Seguirebbe l’aggressiva polemica sul vulnus alla democrazia, però proprio la democrazia tiene innanzitutto al rispetto delle regole. E le regole, avrà modo di controbattere l’asse Pd-M5S, devono essere omaggiate. Un salvataggio formale, una beffa sostanziale. Ma la politica è questo, e lo sanno bene a destra come a sinistra. Dunque, nessuna meraviglia di fronte alla spregiudicatezza nella quale da secoli gl’italiani risultano maestri. Lo spillover d’indignazione da un polo all’altro, secondo l’utilità del momento, è un virus cui siamo vaccinati, a differenza del Covid.

Va aggiunto un dettaglio così chiamato per comodità, ma affatto secondario. La riforma che ha in mente Zingaretti, e sulla quale pare convenire Grillo, è d’impronta proporzionale e modificherebbe a discapito di Salvini e Meloni lo status quo della legge elettorale, la cui porzione di maggioritario sembra garanzia di vittoria pressoché certa della coppia sovranista. Anche di Berlusconi, sulla carta. Ma Berlusconi è ormai un socio minoritario dell’alleanza, ed è dubbio se guadagnerebbe di più dall’essere l’ultimo tra i pari di centrodestra anziché il primo ad aggregarsi ai riformatori proporzionalisti di centrosinistra. Possibile, e forse probabile, che scelga la seconda opportunità. Opzione tesa a fare di Forza Italia una tessera utile a futuri mosaici governativi e alla designazione del presidente della Repubblica nel 2022.

Narrant che Zingaretti e Grillo siano proclivi a imbellettarsi d’un tale scudo di cipria non solo per argomentare la resistenza nel caso di débacle alle regionali. Ma anche per giustificare costituzionalmente la tenuta di Conte qualora l’autunno, come il ministro degl’Interni paventa, facesse salire il livello della tensione sociale; e un ritorno del ‘corona’ rendesse il lavoro dell’esecutivo drammatico, minandone la stabilità. Il puntello alle ragioni dell’emergenza, contrarie alla pulsione riaperturista delle urne, sarebbe l’impraticabilità del richiamo immediato alla volontà popolare. Sembrano arrampicate da funamboli del garbuglio, e invece sono la sostanza manovriera di quanto si dice nei palazzi della Capitale, in attesa di farlo. Sventuratamente o no, ciascuno valuti.

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