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Divagando

AL TEMPO DELLE ZANDERLINE

AMBROGIO VAGHI - 10/07/2020

don-guglielmettiIl nostro Dedo Rossi nelle sue sempre interessanti ricerche su personaggi e vicende nelle pieghe delle periferie di Varese ci ha fatto conoscere don Guglielmetti, una figura contradditoria che ha retto la parrocchia di Biumo Inferiore per ben 33 anni. Un prelato che nella descrizione di Dedo arriva a Varese nel 1949 con atteggiamenti da conquistatore di voti più che di anime. Da quel momento le cose non saranno più come prima. Perché c’è stato un prima, quando i Belfortesi doc si davano una mano e la festa patronale di San Materno della chiesa del Lazzaretto non era motivo di divisione. Coadiutore era don Rino Tedeschi, un mite prelato che ben conosceva fatti e misfatti per le notizie che gli giungevano dalle chiacchiere del lavatoio comunale, quello di Via Istria, proprio dietro la chiesa.

Don Rino non aveva oratorio in cui educare al catechismo e da cui attingere giovani del luogo. Questi trovavano invece ospitalità nel Circolo dei “rossi” o si dilettavano in giochi lungo lo “stradone”. Ed erano questi ragazzi che nella festa davano una mano nel tirare le zanderline con le bandierine che guardavano in giù. Soprattutto erano imbattibili nel gestire l’incanto degli omaggi giunti al Patrono. I belfortesi erano sempre generosi con torte, cesti, fiori. E Sergio e Silvio giovani comunisti, nell’asta benefica sapevano portare in alto le offerte. Buon per la casse del Lazzaretto. Questo clima di saggia collaborazione si ruppe l’anno dell’arrivo del parroco don Guglielmetti. Vietò il ballo quale manifestazione della Patronale. Un intrattenimento invece molto atteso dai più anziani, usciti da 5 anni di guerra in cui le danze furono bandite, e un momento gradito anche dai giovani tanto desiderosi di allegria.

Non essendoci altre sale capienti le danze si svolgevano nel salone del Circolo cooperativo, quello dei “rossi” socialisti e comunisti, a fianco del lungo bancone di mescita. Del resto in tale salone si svolgevano anche le rappresentazioni sacre della Settimana Santa e della Passione di Gesù. Nulla da fare . Il povero don Rino venne messo in un canto dal suo parroco. Don Guglielmetti sentenziò come il manzoniano Azzeccagarbugli: “In sé il ballo non è peccato ma è occasione di peccato“. La collaborazione ebbe termine.

Non ho mai avuto modo di conoscere e di parlare con quel parroco pur essendo io un Belfortese quasi doc di quelli che abitavano nella ultima parte del viale e, pur essendo della medesima parrocchia, gravitavano sul Lazzaretto. O forse… forse l’ho conosciuto ante litteram, ancor prima che giungesse a Varese.

Oggi, dopo che Dedo ne ha citato la data di arrivo, ne sono quasi certo e magari sono stato io l’inconscio facilitatore della carriera ecclesiastica del don Guglielmetti. Era lo stesso prete che in una campagna elettorale del 1948 si trovò in piazza a Biandronno a contrastare il mio comizio. Altro che pacifico contradditorio politico. Lui si era portato un numeroso e vociante gruppo di fans. Postosi di fronte a me dall’altro lato della piazza, su una montagnetta di sabbia, arringava i suoi a contrastare con urla quel giovincello senza dio che era venuto a parlare per il Fronte Democratico Popolare. Giusto, quello con l’effige di Giuseppe Garibaldi. Non diciamo quali insidie per l’Umanità tutta si nascondessero, secondo quel contradditore, sotto la barba dell’eroe dei due mondi! Fu quell’indomito coraggio un buon titolo per l’invio di un anonimo prete da uno sperduto paesello alla città di Varese ? Parroco di Biumo Inferiore, una delle più antiche e popolose castellanze del Comune.

Del resto la descrizione che Dedo ha fatto del suo parroco è più che realistica e può essere anche oggi motivo di riflessioni su come, includendo e non escludendo, dialogando e non imponendo, la Chiesa Cattolica possa svolgere una funzione ecumenica positiva.

Siamo davanti a un personaggio avvinto da fanatismo che suscita aspetti umoristici quasi andasse alla conquista della Terra Santa occupata dagli infedeli. Come il Vittorio Gasmann e della nota armata Brancaleone. Anche il convergere da chissà dove, sacerdoti, chierichetti, congregazioni, per far numero e scena ci ricorda quanto avviene ancora oggi con le cosiddette “truppe cammellate”. Tutto il comportamento del Don narrato da Dedo Rossi è da maestro di teatro. Quello di un ottimo allievo della scuola di Arte Drammatica del regista Giorgio Strelher. La processione si ferma. Ma dove ? naturalmente davanti al Circolo dei “rossi”, gli infedeli. Qui il Nostro incomincia la predica, o il comizio, secondo i punti di vista. Sono i tempi della commistione tra religione e partito politico, la DC. Il gesuita padre Lombardi è diventato “il microfono di Dio” e nel loro piccolo altri prelati come il Guglielmetti cercano di imitarlo con in mano un megafono. Ad un cenno inizia a suonare la banda. Anche i colpi di tamburo rimbombano al momento giusto e programmato. Tutti i dettagli dimostrano che la regia è perfetta. Tuttavia le cifre ci dicono che i rossi, comunisti e socialisti non ne risentirono. I comunisti del PCI in Consiglio Comunale di Varese (che allora comprendeva anche Induno Olona) da 4 consiglieri passarono a 10, un quarto dei componenti. Sul piano nazionale il PCI di Enrico Berlinguer col 34% dei voti sfiorò la maggioranza. Uomini come don Guglielmetti, immersi nel loro tradizionalismo permanente non si accorsero né del Concilio Vaticano II, ne della enciclica De Rerum Novarum (1963) né del discorso di Bergamo fatto dal segretario del PCI, Palmiro Togliatti, su comunisti e cattolici.

 A merito di Guglielmetti possiamo accreditargli il fatto che il tradizionalismo ecclesiastico che lo aveva affascinato avrebbe potuto avere una sponda nel vescovo scismatico Marcel Lefebvre. Ciò non avvenne. Guglielmetti rimase ai soliti mugugni. Fedeltà al giuramento verso la sua Chiesa o mancanza di coraggio? Del resto tutto dimostra che le gerarchie ecclesiastiche della Diocesi Ambrosiana hanno preferito anche loro il quieto vivere. Guglielmetti è stato parroco a Biumo fino alla morte, per 33 anni. Nessuna promozione, quasi congelato nel suo pur importante quartiere cittadino. Neanche un posticino di Monsignore con 33 anni passati nel bene e nel male, tanti dolori e tanta miseria da consolare e da alleviare. In una missione mai venuta meno superando invidie, pettegolezzi e maldicenze.

Sono cose del passato, caro Dedo. Oggi anche i giovani del Lazzaretto e di Belforte tutta, hanno un magnifico oratorio sulla collina che guarda dall’alto la città. Centro religioso e impianti sportivi. Non più giochi per le strade e anonimato sociale. Rimane aperto purtroppo il problema del recupero del Castello.

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