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Politica

STARE INSIEME

EDOARDO ZIN - 24/07/2020

cammino“…anzitutto questo male può essere causato da una certa letizia che esplode inopportunamente per il rischio e il pericolo evitato… Altra causa può essere la dissoluzione stessa della disciplina civile, che suole essere la più certa custodia dei costumi…Si sono spente le arti e l’ozio ha prevalso, né manca quasi alcun male, appena questi mali si sono scatenati.”: così il cardinale Federico Borromeo, cugino del più celebre San Carlo e reso perenne da Alessandro Manzoni, descrive i motivi “per cui dopo una pestilenza sempre la vita degli uomini o sembra essere diventata peggiore o di fatto diventa peggiore”.

La situazione che stiamo vivendo oggi ci rende responsabili, pronti a rispondere con sollecitudine alle urgenze del presente e ci pone domande, proprio per “non rendere la nostra vita peggiore.”

“Tutto sarà come prima?”. Dobbiamo interrogare il nostro vissuto per dare una risposta. Accanto a chi per dono di Dio non ha avuto ripercussioni negative sulla vita quotidiana, c’è una folla immensa che ha perduto i propri cari, c’è chi ha perduto il lavoro, i nostri ragazzi e giovani sono stati deprivati della scuola, del  gioco che per loro rappresenta non solo gioia, ma la fierezza del lavoro, c’è chi ha dovuto passare il confinamento in un appartamento di periferia di quaranta metri quadri e chi ha potuto godere di un’ampia casa con giardino…La città si è svuotata. I commercianti sono stati costretti alla chiusura talvolta definitiva.  I gruppi si sono disgregati. E’ aumentato il numero di coloro che vivono sotto la soglia di povertà.

Sì, con la pandemia ne è giunta un’altra, molto più pericolosa: quella dell’ingiustizia, della diseguaglianza. C’è voluto un virus per ricordarci questa realtà che i benpensanti pensavano scomparsa. Non erano bastate la crisi finanziaria del 2008, una privatizzazione selvaggia che ha riempito le tasche di pochi, il surriscaldamento planetario, il fenomeno delle migrazioni, le atroci guerre per ricordarci che “siamo tutti sulla stessa barca”. La pandemia ha scavalcato tutti e ci ha ricordato che tutti, ricchi e poveri, siamo chiamati a tenere la rotta in questo mare in tempesta.

Istigate da motivi ideologici o elettorali, molte persone sono diventate astiose, colleriche. Come la pandemia è giunta inaspettata, così è arrivata impensata la freddezza con cui alcuni amministratori si sono dimostrati insipienti e incompetenti. La prudenza si è trasformata da buon senso in vera ossessione. Scossi dalla paura, abbiamo modificato il nostro comportamento quotidiano. Talvolta lo scoraggiamento, lo sconforto si è mescolato alla disperazione. No, tutto non può essere come prima: dallo smarrimento dobbiamo pensare a una nuova società più equa. Dalle contrapposizioni dobbiamo passare all’amicizia, all’incontro, al parlarci, al guardarci in volto, smetterla di potenziare la società dell’ “io” e favorire quella del “noi”. Se tornassimo, dopo tante rinunce, sacrifici, pianti, allo stile di vita di prima, procedendo scomposti ed egoisti, non onoreremmo i nostri morti, le migliaia di medici e paramedici che si sono prodigati non solo nella cura del corpo, ma nell’ascolto vivendo la loro speranza e trasformandola in impegno.

“Che cosa possiamo fare per ritornare all’essenziale?” – “Imparando a stare al mondo” –  direbbero i nostri vecchi. Cioè saper contare i giorni, alternando il tempo del lavoro con quello del giusto riposo, che non può essere solo tempo di dissipazione vissuto all’insegna delle mangiate al ristorante, delle lunghe code passate in autostrada, della movida del venerdì sera o dello sballo in discoteca; comprendere che l’economia non può essere la sola misura con cui valutare il lavoro e che la ricchezza prodotta dal lavoro non è solo il risultato  della produzione di merci indirizzate al consumo, ma un dono da condividere con coloro che ne sono i primi artefici; che il giusto profitto non può essere subordinato radicalmente all’interesse privato. In politica, poi, è insopprimibile passare dalla fase oppositiva, basata sull’individuazione di un nemico, causa di ogni male, all’orizzonte del dialogo. La scuola, l’educazione non possono più essere considerate un luogo e un momento nei quali la testa è  riempita di conoscenze né di infruttuosi progetti, ma come luogo privilegiato per formare “lo strumento testa” attraverso la presentazione di diversità di vite, opinioni, usanze che  possano condurre al disinteressato sapere. Si tratta di formare coscienze schiette e caratteri audaci capaci di combattere contro la “stanchezza della storia” per interpretarla e agire in essa con coraggio e risolutezza.

C’è una possibilità perché questo si realizzi? Sì, se il nostro stare assieme sarà improntato a tessere buone relazioni, ad avere vere amicizie. L’amicizia è sempre un incessante uscire da sé inteso come impegno da non abbandonare. L’amicizia non prevede requisiti d’accesso da ricercarsi nella condizione sociale, nel grado d’istruzione, nella professione esercitata, nell’etnia, nella razza o nella religione. “E’ l’amicizia a tenere unita la polis.” – diceva Aristotele. Ed è questo cemento che deve tenere unita la nostra società durante la pandemia che stiamo vivendo: l’amicizia diventa solidarietà, reciproco aiuto, ci spinge incontro all’altro. Per vincere l’individualismo, la frammentazione delle idee, l’indifferenza e spesso il rancore dovremo scuotere le nostre certezze e interpellare le convinzioni degli altri.

L’estate che ci è davanti sarà un’estate d’incertezza. Dovremo abituarci a vivere nella dinamica del provvisorio. Tutto passa, ma tre valori restano ancora validi per vivere bene le nostre vacanze: la ricerca disinteressata del sapere, la contemplazione della bellezza, il viaggiare e il camminare “sperimentando il bene e il male in mezzo agli uomini” (Siracide 39.4).

Le vacanze “casalinghe” di quest’anno sono un’occasione per rispondere a un bisogno autentico: riscoprire il gusto del “sapere”, magari visitando luoghi, monumenti, piccoli musei che sono vicino a casa. Abbiamo talvolta sprecato tanto tempo per raggiungere luoghi esotici, terre di popoli stranieri. Siamo partiti la sera stessa dell’inizio delle ferie, abbiamo dormito male, mangiato quello che vogliono gli altri, abbiamo subito compagnie occasionali ed ascoltato discorsi senza senso, convinti di riposare. Siamo rientrati a casa affaticati. E vicino a noi c’era il riposo che cercavamo. Chi non potrà viaggiare oltre le mura, lo potrà fare leggendo buoni libri e parlando con chi vive con lui.

Questa estate ci regalerà ancora giorni colmi di dolce tepore e sarà bello contemplare al mare, sui monti, al   lago, l’alternarsi della luce, scrutare la luna in cielo che corre e corre, ascoltare lo stormire delle fronde o lo sciacquio delle onde, odorare la frescura umida dei prati…Diamo spazio allo stupore davanti alla bellezza di una cima innevata o di un tramonto sul mare. La bellezza terrena fa sorgere la bellezza divina: colpiti dall’impatto con la bellezza lasciamoci provocare da uno slancio verso il Cielo.

Molti oggi non viaggiano, ma camminano. Non puntano alla meta, ma all’incontro con altre persone, con nuovi luoghi, con la natura. Zaino in spalla, scarpe adatte ai piedi, un bastone. Lungo il cammino incontrano qualcuno, condividono pane e vino. Durante il tragitto saranno esposti al sole che brucia, alla pioggia, al vento e quando arriveranno alla meta il cuore esploderà nella gioia. Il cammino è la metafora della vita e vale la pena di essere vissuto per non far prevalere la noia e l’ozio, due mali che si accompagnano alla pandemia.

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