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Economia

MONITO

GIANFRANCO FABI - 11/09/2020

draghiEra il 1968 quando al festival di Sanremo vinse una canzone di Sergio Endrigo che iniziava così: “La festa appena cominciata è già finita”. Parole che si adattano bene al racconto di questa estate. Un’estate che era iniziata sull’onda di un (quasi) completo ritorno alla normalità: viaggi aerei, vacanze, spiagge, ristoranti e discoteche aperti pur con qualche limitazione e giuste cautele, spesso tuttavia non rispettate soprattutto dai giovani di cui si può comprendere (ma non giustificare) la voglia di una trasgressiva normalità.

Ma l’estate non ha fatto in tempo a iniziare che è finita in fretta. Non tanto per la riapertura delle scuole, quanto per l’imprevista ripresa dei contagi, per il nuovo diffondersi di una pandemia che tutti ci auguravamo se non sconfitta almeno controllata.

E settembre sembra offrire lo spettacolo disarmante di una politica inconcludente e pericolosamente lontana dalla realtà. C’è un’emergenza sanitaria, che richiederebbe un eccezionale impiego di uomini e mezzi per tracciare e controllare il contagio; c’è un’emergenza economica, nascosta da un ricorso alla cassa integrazione e dal blocco dei licenziamenti che non possono continuare a lungo.

E la politica propone una nuova campagna elettorale per le elezioni regionali in uno spirito di dura contrapposizione, propone un referendum su di un inutile e demagogico taglio dei parlamentari, propone misure che ancora una volta mirano ad offrire sostegni individuali senza interventi capaci di guardare agli interessi collettivi.

In questo clima è venuto a metà agosto l’autorevole richiamo al buon senso dell’ex governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, che parlando al Meeting di Rimini ha messo in chiaro il rischio sempre più grave che va correndo non solo l’economia, ma la società italiana con la crescita di un debito pubblico che arriverà quest’anno al 160% del prodotto interno lordo a fronte di una media europea vicina al 100%. “Questo debito – ha sottolineato Draghi – , sottoscritto da Paesi, istituzioni, mercati e risparmiatori, sarà sostenibile, continuerà cioè a essere sottoscritto in futuro, se utilizzato a fini produttivi ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca ecc. se è cioè “debito buono”. La sua sostenibilità verrà meno se invece verrà utilizzato per fini improduttivi, se sarà considerato “debito cattivo”.

E amaramente bisogna riconoscere che gran parte del debito aggiuntivo che è stato sottoscritto per finanziare gli interventi contro la crisi ha creato un “debito cattivo”, cioè debito che non aiuterà quella ripresa dell’economia che potrebbe creare le condizioni per pagare gli interessi e nel tempo restituire il capitale.

Con successivi provvedimenti il Parlamento ha accettato le richieste del Governo di emettere titoli per cento miliardi di euro in più rispetto a quelli previsti in bilancio. Ebbene questi titoli sono stati quasi completamente acquistati dalla Banca centrale europea. Questo vuol dire che senza l’Europa e la moneta unica l’Italia si troverebbe in una situazione fallimentare sul fronte dei conti pubblici con conseguenze drammatiche soprattutto per i risparmiatori e i pensionati.

E proprio l’Europa garantirà dal prossimo anno nuovi fondi, in parte a prestito, in parte a fondo perduto, per finanziare investimenti nella ricerca, nella formazione, nel rinnovo delle infrastrutture, nella sostenibilità ambientale: ma sono necessari progetti concreti, con analisi coerenti e credibili sui costi e benefici. E sono necessarie procedure chiare, rapide e garantite: tipo quelle che hanno permesso di realizzare in meno di due anni il nuovo ponte di Genova.

Le premesse non sono confortanti guardando al recente passato. Per quanto riguarda i fondi europei per le riforme strutturali e gli investimenti si può verificare che ad oggi l’Italia su 75 miliardi di euro stanziati a suo favore dal bilancio 2014-2020 ne ha decisi 54 miliardi con progetti pari al 73% del totale e spesi solo 26 miliardi pari a solo a un terzo del totale.

La sfida per i prossimi mesi appare quindi di vitale importanza. Sarebbe necessario un patto di solidarietà tra tutte le forze politiche, ma solo evocare un’ipotesi del genere appare fantascienza.

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