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Fisica/Mente

PANDEMIA

MARIO CARLETTI - 18/09/2020

coronavirusCi sono tantissimi modi per combattere le malattie. Difficile dire quale sia il più efficace, anche se la storia ci insegna che la ricerca probabilmente è il fattore che ha permesso al genere umano di raggiungere traguardi in sanità inattesi anche solo qualche decennio fa.

In un’epoca in cui la comunicazione ha fatto salti da gigante ed in generale il web ha permesso di interconnettere il mondo intero, la conoscenza e l’educazione sanitaria hanno raggiunto maggior diffusione nel mondo.

Questo perché la trasmissione più diffusa del sapere è la base per evitare abitudini e stili di vita sbagliati.

Comunicare quindi per conoscere, conoscere per sapere, sapere per prevenire, combattere, limitare un evento morboso.

Nello specifico in era Covid-19 penso sia necessario rimettere insieme un vocabolario di base comune per sapere di cosa parliamo e, di conseguenza, perché ci vengono consigliate certe cose e perché dobbiamo farle.

Quindi primo, perché chiamiamo cosi l’attuale virus purtroppo protagonista della nostra vita?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2015 ha stilato una linea guida sui criteri che devono essere usati per denominare le malattie. Banditi riferimenti di luoghi, città etc (tipo febbre di Wuham), da evitare aggettivi che spaventino tipo ‘febbre fatale’ e, nel caso dei virus, il nome deve essere diverso dalla malattia che provoca (perché il virus in sé non è la malattia).

Il nome quindi viene assegnano da una equipe di microbiologi nel mondo che fanno parte della Commissione Internazionale di Tassonomia.

Eccoci quindi a SARS COVID 19 che sta per Co (corona), Vi (virus), D (disease, malattia in inglese), 19 (2019 anno della scoperta).

L’abbiamo battezzato cosi (talvolta vi è anche un 2) per distinguerlo dalla SARS diffusasi in Asia nel 2003 e praticamente scomparsa nel 2004 (severe acute respiratory syndrome, sindrome respiratoria acuta grave).

La parola virus deriva dal latino e significa veleno.

 È un organismo non cellulare, cioè non è dotato di tutta una serie di strutture che servono alla vita ed alla riproduzione. È costituito da una casetta di proteine all’interno della quale vi può essere o del DNA o del RNA (cioè una sequela di aminoacidi che ne caratterizza la parte genetica).

Poiché privo di queste strutture, può vivere da solo per periodi brevi ed ha la necessità di infettare delle cellule per potersi replicare, utilizzando le strutture della cellula infettata.

Quindi il virus può albergare in un essere vivente cellulare anche senza dare segni di malattia (asintomatico), può in alcuni casi trasferirsi ad una specie diversa (salto di specie), molto spesso è specifico di tessuto/organo: in questo caso il polmone.

Fuori da un organismo vivente quindi non può vivere a lungo. Quanto? Dipende da una infinità di variabili tra cui temperatura, umida, superficie, esposizioni a raggi solari, per cui non si può stabilire un numero di ore preciso.

Viene trasmesso da un soggetto ad un altro tramite l’aerosol emesso durante la respirazione ed entra attraverso le mucose (naso, bocca, occhi).

Quanto può stare in aria un aerosol e quanto lontano possa andare, è anche questo un esercizio fisico/matematico perché le variabili sono parecchie. È evidente che l’uso di mezzi che ne ostacolino il passaggio (mascherine), un cambiamento d’aria frequente in ambiente chiuso o stare all’aperto, il distanziamento sociale, il lavarsi frequentemente le mani che spesso vanno verso le mucose, sono tutti fattori che ne rendono più difficile la trasmissione.

Una volta entrato nelle vie aere superiori e nelle cellule, in questo caso umane, il virus può riprodursi. Il fatto che sia in grado di scatenare una malattia non è scontato, ma dipende fondamentalmente da due fattori: quanta carica aggressiva possiede (quantità/qualità) e quanto forti siano le nostre difese immunitarie.

Il tampone naso faringeo si fa per andare a cercare il virus che eventualmente alberga nelle nostre mucose, mentre i test sierologici servono per andare a vedere se il nostro organismo, essendo venuto in contatto con il virus, ha prodotto delle risposte difensive (anticorpi).

Purtroppo, non avviene come in altre malattie virali (ad esempio morbillo e rosolia) in cui l’infezione poi garantisce una immunità (protezione) per il resto della vita. In realtà nel caso della Covid-19 l’immunità è momentanea e, almeno fino ad oggi, non possiamo nemmeno stimare un arco temporale. Semplicemente non lo sappiamo.

Un tampone positivo ci dice quindi che c’è una infezione attiva, che potenzialmente il soggetto è infettante ma può benissimo non avere segni evidenti di malattia ed essere totalmente asintomatico.

Un sierologico positivo significa che il soggetto è venuto in contatto con il virus e, con marcatori particolari, in che arco temporale ciò è avvenuto.

Quindi positivo non vuol dire malato per forza (ma lo può diventare) ma vuol dire potenziale trasmettitore.

La persona risultata positiva al tampone deve essere sottoposta ad un isolamento (quarantena) al fine di evitare i contagi.

Teoricamente quindi più persone si infettano senza sviluppare malattia, più si va verso una immunità di gregge senza danni sanitari e sociali.

Infine, quando parliamo di focolaio epidemico intendiamo che la malattia provoca un aumento di casi più di quanto atteso all’interno di una comunità ben circoscritta. Quindi dobbiamo attenderci focolai nelle scuole alla ripresa.

L’epidemia è una manifestazione frequente e localizzata ma limitata nel tempo di una malattia infettiva. Avviene quando un soggetto malato contagia più persone in breve tempo e si diffonde in una popolazione suscettibile all’infezione.

La pandemia è una diffusione dello stesso agente infettivo in più continenti.

Credo che queste notizie siano utili per capire che stiamo combattendo contro un cubo di Kubrik molto difficile da decifrare, capire e quindi affrontare.

Per questo ogni singolo individuo deve affrontare una battaglia nell’interesse personale ma anche comune, rispettando quanto ci viene consigliato dalle autorità sanitarie

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