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Politica

COERENZA

EDOARDO ZIN - 18/09/2020

scheda-referendumDomenica e lunedì prossimi andremo alle urne per confermare con il voto popolare – così come prevede la Costituzione – una legge di riforma della Costituzione (in questo caso, il cosiddetto “taglio dei parlamentari”). Questa legge di riforma costituzionale è stata approvata dalle Camere in doppia lettura (non sempre con la stessa maggioranza: il PD votò a favore solo nella quarta lettura!) ma fu impugnata da 71 senatori di quasi tutte le parti politiche, i quali hanno creduto di dare l’ultima parola al popolo sovrano. E’ un referendum, pertanto, confermativo, non abrogativo per il quale non è necessario il “quorum”. Per questo motivo il risultato non esprimerà il parere della maggioranza degli elettori, ma solo quello dei votanti.

Finora solo il referendum del 2001, che si riferiva alla riforma del titolo V della nostra Costituzione, conferendo maggiori competenze alle regioni, è stato approvato con più del 64% dei voti validi: sarebbe bene che lo ricordassero i cittadini che in questo tempo di pandemia, durante il quale alcune regioni sono state messe sotto accusa per la loro inettitudine nella gestione sanitaria, lo ricordassero!

Ci furono altri tentativi di riformare la carta fondamentale abolendo il bicameralismo perfetto con la conseguente diminuzione dei parlamentari. Tra le varie motivazioni addotte, si giustifica principalmente la modifica perché in confronto al 1948, i parlamentari nazionali sono stati sgravati nel loro lavoro legislativo dai Consigli regionali e dai deputati eletti al Parlamento Europeo. Ricordo altre riforme del passato: quella voluta dal governo Berlusconi (2006) bocciata, al contrario delle previsioni, con più del 60% dei votanti a causa dell’eccessiva frammentazione dell’unità nazionale a cui poteva portare quella riforma e quella del 2016 (Renzi – Boschi), bocciata dall’elettorato prevalentemente perché il presidente del Consiglio di allora presentò il referendum come un plebiscito sulla sua persona.

Precedentemente, rammento che furono istituite due commissioni bicamerali presiedute dal liberale Bozzi e una dal comunista D’Alema che avevano il compito di elaborare un testo di riforma da portare all’esame del Parlamento, ma entrambe non terminarono neppure i loro lavori. Uguale sorte toccò alla proposta Violante.

Stavolta, dunque, voteremo “sul taglio dei parlamentari”, orgoglio del Movimento 5 Stelle. Molti elettori darebbero il loro assenso al quesito referendario se esso fosse associato ad una ristrutturazione organica: che valore ha se i parlamentari sono 400 o 600 in un sistema parlamentare ridotto dai partiti ad un’assemblea di “nominati” dalle loro segreterie e non espressione della volontà del popolo sovrano? Che significato avrebbe un parlamento come l’attuale sui cui scranni siedono donne e uomini che, quando non sono corrotti o indagati o insipienti o spregiudicati nell’uso del danaro pubblico subiscono l’influenza non della loro libera coscienza, ma del mondo della finanza, del conflitto di interessi, delle lobby? Per corroborare la nostra cagionevole democrazia non c’è bisogno di diminuire i nostri parlamentari – riforma che inciderebbe solo in minima parte sul bilancio dello Stato – piuttosto urge scegliere una classe dirigente che non sia populista, antiparlamentare e incompetente.

Che significato avrebbe continuare ad avere un Parlamento ridotto nei suoi rappresentanti, se essi continueranno “ad occupare poltrone, ma non a sedere con autorevolezza su scranni” passando probabilmente da un partito all’altro o da un gruppo all’altro in nome non della probità di coscienza (prevista dall’ articolo 67 della Costituzione) quanto della loro voracità di potere e di privilegi? Che significato avrebbe continuare a eleggere i rappresentanti delle nostre comunità all’estero quando l’esperienza ha dimostrato che gli eletti sono inetti o addirittura messi sul mercato per essere acquistati dall’opposizione al fine di far cadere il governo? Che significato avrebbe un parlamento ridotto nel numero dei suoi componenti se gli eletti sarebbero capaci di votare anche che “Ruby è la nipote del presidente Mubarak”? A queste scene abbiamo assistito negli ultimi vent’anni da quando la vittoria elettorale del centro – destra ha iniziato il più grande passaggio di poteri da una classe sociale all’altra mai registrato nella storia repubblicana.

La Costituzione è costituita (qui il bisticcio di parole è appropriato!) da una serie di articoli che devono avere una certa coerenza: non si può abrogare un articolo senza che gli altri vengano toccati. Faccio alcuni esempi: all’elezione del Presidente della Repubblica concorrono anche 60 delegati regionali. In caso di diminuzione del numero dei parlamentari – elettori del Capo dello Stato – il voto dei delegati regionali potrebbe essere determinante per la sua elezione: in tal caso, la Costituzione sarebbe stravolta! Durante la pandemia che stiamo vivendo, tutti si sono accorti che la “regionalizzazione” della sanità non ha funzionato e occorre disboscare la selva dei rapporti fra Stato e Regioni: basterà il taglio dei parlamentari a rimboschire il titolo V° per permettere una maggiore armonizzazione tra norme regionali e nazionali fra loro divergenti? I duecento senatori che saranno eletti saranno in grado di rappresentare i collegi in cui verranno eletti? Io temo che alcune regioni non potranno essere rappresentate. Se il numero dei parlamentari dovesse diminuire, come sarà possibile rappresentare tutti i gruppi parlamentari nelle commissioni, che sono “i gruppi di studio” dove si elaborano, correggono, emendano le proposte di legge che devono essere portate all’approvazione dell’Aula?

Ci si assicura che dopo il referendum si porrà mano ad una nuova legge elettorale, il cui “iter” è già cominciato. Dopo il “mattarellum”, il “porcellum”, il “rosatellum” avremo una nuova legge elettorale? Me lo auguro. Coloro che in questi giorni si sono affannati a propagare l’avviso che l’Italia è il paese che ha il più alto numero di parlamentari rispetto alla popolazione non sono altrettanto ligi nel dire che nelle democrazie parlamentari (escludiamo, quindi, Francia, Gran Bretagna e Germania, per restare in Europa!) vige un sistema elettorale proporzionale (ed in alcuni paesi dell’est esso è sancito nella Costituzione!), mentre in Italia la legge elettorale è legge ordinaria e può essere cambiata ad ogni mutazione di direzione del vento politico.

Se dovesse passare il “sì” ci troveremmo per anni, se non per decenni, a discutere di riforme da attuare con una Costituzione ricolma di limiti oggettivi, frutto di interventi che mancheranno di una visione del futuro e chiamata a combattere le nuove povertà, le disuguaglianze, la disoccupazione giovanile, la mancata innovazione tecnologica e il deserto industriale. Questi problemi si aggraveranno quando sarà cessata – speriamo al più presto – la pandemia.

Domenica andrò a votare. Porterò con me, in una tasca dei pantaloni, una foto che   mi ritrae con un gruppo di amici in visita a don Giuseppe Dossetti a Monte Sole nel ’95. Lì il lucido costituente si era ritirato per pregare e meditare, ma non aveva smesso di interessarsi della Politica nel senso più nobile. Aveva intuito che per garantire la democrazia in Italia e per evitare la degenerazione del sistema proteggendolo da reazioni anticostituzionali bisognava “salvare la Costituzione che cercheranno di demolire a colpi di piccone”. La nostra Costituzione potrà esigere qualche perfezionamento, ma esso non potrà essere giocato sull’ondata dell’antipolitica, dell’antiparlamentarismo, della demagogia.

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