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Urbi et Orbi

FUORI DAL GREGGE

PAOLO CREMONESI - 25/09/2020

Enrico Guffanti in Uganda, estate 1967 (foto di Carlo Meazza)

Enrico Guffanti in Uganda, estate 1967 (foto di Carlo Meazza)

Nell’agosto del 1991 la Somalia era alle prese con una ennesima, drammatica, carestia. Le immagini che arrivavano erano terrificanti e in Italia, dove la sensibilità verso i Paesi in via di sviluppo era molto più acuta di oggi, ci si interrogava su come aiutare il popolo africano.

Indro Montanelli intervenne nel dibattito il 24 Agosto con un editoriale su Il Giornale in cui tra l’altro scriveva: “Un mezzo per soccorrere quei disgraziati ci sarebbe. Dare la gestione dei miliardi di aiuti ai missionari di padre Piero Gheddo. Quelli che da decenni vivono laggiù, peones tra i peones, sfidando lebbra, tifo e tutto il resto, combattendo la fame non regalando farina ma insegnando alla gente, nella sua lingua, come si coltiva il grano, come si scavano i pozzi, condividendo giorno dopo giorno rischi e privazioni”.

Il giorno dopo Il Giornale pubblicava una lettera di Padre Gheddo allora direttore della rivista Mondo e Missione. Nel ringraziare, il missionario del PIME suggeriva di mandare aiuti alle Missionarie della Consolata di Grugliasco in provincia di Torino, da anni impegnate in Somalia.

E qui il miracolo: nel giro di poche settimane le sorelle ricevettero offerte per più di un miliardo e mezzo di lire. “Mai nella nostra storia abbiamo raggiunto una tale cifra” commentava una delle suore, Efrem Massano, impegnandosi a inviare al quotidiano un dettagliato resoconto di come sarebbero stati spesi i molti soldi.

Commoventi poi le lettere di accompagno alle donazioni: “Sono un piccolo industriale, fedele lettore de Il Giornale. Non ho mai avuto gran simpatia per la Chiesa e i preti. Però sono sconvolto da quei bambini, uomini e donne, che in Somalia muoiono per strada. Montanelli dice di aiutare i missionari e io vi mando il mio contributo (cinque milioni ndr). Se si fida lui, mi fido anch’io”.

Il 12 Novembre nuovo editoriale del Direttore de Il Giornale che, ringraziando i lettori per aver risposto in modo così generoso, scrive: “Non dico questo per autocompiacimento. A noi l’appello è costato poco: una colonna e mezzo di piombo. Ciò che ci muove, ci commuove e ci spinge a parlarne è ben altro. Fare un giornale è come tenere dalla mattina alla sera le mani immerse nel liquame e respirare un’aria satura di veleni. Scandali, furti, tangenti, soprusi, mafie, estorsioni: ecco di cosa sono fatte le nostre giornate e le nostre pagine. Ma val la pena respirare continuamente quest’aria? Sì finche’ c’è un’altra Italia di gente che non si vede e non si sente ma che sommessamente offre ciò che può. Questa Italia con le lettere di padre Gheddo e delle suorine della Consolata ci riempie i polmoni di una bella folata di aria pura, fresca, pulita. Continueremo a perdere le battaglia che facciamo nel nome di quest’ Italia? È possibile, anzi probabile. Ma meglio sconfitti con l’Italia dei missionari e dell’obolo che vittoriosi con quella della fogna”.

Due considerazioni. La prima è che lo Spirito del Signore soffia dove vuole. Anzi spesso più fuori che non dentro il ‘recinto delle pecore’ per dirla con Papa Francesco. La seconda è che questo episodio, che ho voluto riportare alla memoria, ci offre lo spunto per onorare i tanti che silenziosamente spendono alla loro vita a fianco di chi è più sfortunato. Missionari e laici. L’ultimo lo abbiamo salutato poche settimane fa in San Vittore: Enrico Guffanti medico chirurgo scomparso dopo una lunga malattia il 26 Agosto scorso. Con la moglie Giovanna e alcuni amici, ha condiviso dal novembre del 1969 le sorti di una parte del popolo ugandese nella regione Acholi. Grazie alla sua opera e a quella di un gruppo di varesini centinaia di africani hanno potuto incontrare Cristo e rendere così la propria vita più felice. E non è cosa da poco.

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