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Opinioni

ESSERE UMANI

EDOARDO ZIN - 15/10/2020

fratelliLa città che mi fece da madre, la cui vita era scandita dai giri larghi dell’orologio della torre di Piazza dei Signori, mi sta dentro e la rivedo appena il caso voglia suggerirmi qualcosa di nuovo. Un giorno di molti anni fa, questa città fu saettata da una notizia: un uomo politico era morto. C’era chi lo rimpiangeva accorato ed altri, tutti tesi, lo rimbeccavano con un chiaro: “Era ora!”. Vicino al crocchio di gente che si era formato, passò un monsignore, soprannominato l’”armàron” (=armadio) per la sua mole massiccia, alta. Uno dei presenti gli chiese un suo parere sull’uomo appena scomparso. Il canonico, papale, papale, rispose: “Non era un personaggio di cui condividevo le idee politiche, ma prima di giudicarlo bisognerà sapere se per caso non abbia fatto più lui, in favore dei poveri, di quanti l’hanno avversato”.

Lui era comunista – a quei tempi, pertanto, scomunicato – miscredente, anticlericale, conviveva con una donna staffetta ex partigiana. Gli avversari erano figli devoti della chiesa, sempre puntuali alla messa domenicale, partecipi alle imponenti manifestazioni religiose, dotati di una fede ideologizzata perché si presentava più come argine al comunismo che evangelicamente radicata. Lui era salito in montagna tra le brigate partigiane con l’ideale del ventenne: ridonare all’Italia la libertà. Finita la guerra, era stato eletto deputato nelle file del PCI. In città era assai noto più per la sua preferenza per i poveri meno per la frequenza ai circoli del partito: visitava le famiglie dimenticate da tutti nelle borgate più misere e malfamate, dove le pie dame della Carità non potevano entrare.

Lo conobbi anch’io, al termine di una conferenza tenuta da Mario Gozzini. Fu lui ad avvicinarmi e, con passione e con la sofferenza della verità, mi disse pressappoco così: “Tu che frequenti i preti, dimmi una cosa, dimmela subito: dove oggi si leverebbe la voce di Cristo? In mezzo ai violenti per scelta, agli spietati, ai cinici, ai traditori, ai detentori del potere, ai succhiasangue degli industriali o continuerebbe a proclamare beati gli oppressi, i disoccupati, gli affamati, i perseguitati. Se Cristo è ancora vivo, adesso fa il Dio in mezzo ai ricchi. Solo voi cristiani potete fare la rivoluzione, creare un nuovo umanesimo; siete apparentemente tanti perché votate in massa il vostro partito, ma siete in realtà pochi e titubanti, incerti, pallidi, compromessi perché il potere e non il Vangelo è la vostra fede”.

Eravamo fermi all’uscita della sala. Gli risposi: “Io non conosco il numero dei cristiani, però so dirle che il Concilio aprirà strade nuove: verrà il tempo in cui i cristiani staranno nel mondo a seminare i semi della fratellanza umana e della solidarietà umana. E quando l’uomo sarà sopraffatto dall’odio, dalla menzogna, essi scenderanno in campo fra i persecutori di Dio, fra i labili, gli sperduti, i prodighi e i naufraghi per salvare l’uomo, fatto a immagine e a somiglianza di Dio”.

Ho pensato a questo frammento di vita vissuta, dopo aver letto i numerosi commenti all’ultima lettera enciclica di papa Francesco. In mezzo ai molti che hanno elogiato i temi affrontati dal papa, hanno condiviso il valore altamente spirituale e auspicato la realizzazione di un mondo più solidale, ho individuato una limitata cricca biliosa che ha riversato su Francesco l’accusa di essere un “ideologo”, incline a difendere solo gli scartati delle periferie esistenziali, la mancanza della trascendenza nel suo insegnamento, elemento costitutivo di ogni religione. Tra di essi c’erano cattolici nostalgici del tempo in cui la Chiesa era trionfalista, vestiva i suoi ministri con abiti sfarzosi, i quali predicavano un Dio pantocratore, una morale tutta fondata sulla sessualità e la giustizia sociale una roba da lasciare ai comunisti.

Il comunismo, nella teoria e nella prassi, ha fallito e le disuguaglianze sociali non sono state annientate, anzi sono aumentate, ed è legittimo che il papa denunci un sistema che continua a seminare nel mondo il cancro dell’ingiustizia: ciò è nel cuore del Vangelo e solo gli ipocriti come gli scribi e i farisei vedono nelle parole di Francesco un’ideologia politica e non l’amore di Dio per i poveri.

Costoro dimenticano che Dio, pur essendo onnipotente, per salvare l’umanità, non ha scelto la strada del potere miracoloso, ma quella più impervia e amara del farsi carne come tutte le donne e gli uomini, ha sofferto e gioito come me, come tutti, ha avuto amici e tra questi un traditore, ha camminato tra le strade e i campi della Palestina, in poche parole: ha preso su di sé la nostra condizione fino alla morte e alla morte di croce. Il cristianesimo è l’unica religione a non essere disincarnata, a non adorare un dio fuori dal mondo, a essere una presenza contemporanea alla nostra epoca alla quale dare un senso e la gioia di vivere. Il Dio fattosi uomo ha annunciato il suo regno di amore e di misericordia a tutti, ma soprattutto ai poveri, agli indifesi, agli umiliati. Papa Francesco accende nel mondo la memoria dell’Incarnazione e continua l’opera di Cristo, camminando alla sua sequela, sulla scia del Concilio e sull’esempio dei suoi predecessori. Per questo vedo in lui la vera Tradizione della Chiesa. Negli ultimi anni, tanti uomini di Chiesa hanno chiesto un ritorno alla Tradizione contro il relativismo imperante. Papa Francesco ha accolto il loro invito e dimostra con le parole e i suoi gesti il desiderio di affrontare questa piaga dimostrando che solo Dio e la sofferenza degli innocenti sono il contrario del nichilismo.

Molti, anche credenti, rimproverano a papa Francesco di essere “un papa scomodo” che smantella un poco alla volta le istituzioni della Chiesa, spada che ferisce l’ipocrisia religiosa e l’arroganza dei potenti.

Ciò è vero se ci si riferisce a quegli organismi curiali che si ostinano a conservare la Chiesa come se fosse una fortezza arroccata, chiusa, destinata a poche anime elette e non una casa aperta. Già Yves Congar aveva ammonito più di settant’anni fa che ci può essere una riforma “solo di facciata”. Con il Concilio e i papi successivi la Curia era diventata, da corte del sovrano, un servizio al successore di Pietro, papa Francesco l’ha trasformata in una Chiesa “ospedale da campo”, una chiesa meno mondana, che sa opporre resistenza alle tentazioni del danaro, della ricerca del successo, una cattedra da cui predicare il Vangelo soprattutto ai poveri. Vale la pena di ascoltare ancora una volta il passaggio di un discorso del papa alla Curia: “Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo o la glicemia alti. Si devono curare le ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto”. La chiesa è misericordia che lenisce le ferite degli ultimi.

“Fratelli tutti” è rivolta a tutti: credenti e non credenti. In questo vedo l’adempimento dell’aspirazione non solo del monsignore, ma anche del politico morto durante gli anni della mia giovinezza: unire l’umanesimo essenzialmente di natura evangelica con quello laico, illuminista; diffondere un clima di comunione, cioè di libertà, uno stimolo per riconoscere Cristo nei dimenticati di questo mondo, cioè di uguaglianza, e in tutti gli uomini, cioè di fratellanza.

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