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Cultura

VERSI DI SORPRESA

RENATA BALLERIO - 15/10/2020

louise_gluckLa settimana di assegnazione dei premi Nobel si è conclusa e per la letteratura la vincitrice Louise Glück è stata -come spesso è accaduto- una sorpresa, almeno per la stampa italiana. Il premio, indicato nelle volontà testamentarie del 1895 di Alfred Nobel e assegnato per la prima volta nel 1901, è spesso oggetto delle più diverse valutazioni. Premio sessista, perché come ricordano le statistiche aggiornate all’anno scorso ha visto in tutti i campi vincitori 861 uomini contro 56 donne. Premio prestigioso anche dal punto di vista economico con 10 milioni di corone svedesi, pari a un milione di euro. Premio assegnato per ragioni politiche e per lo stesso motivo rifiutato da alcuni, come fece Jean-Paul Sartre. Premio accusato di essere troppo eurocentrico o per lo meno occidentale.

Per la letteratura 15 sono stati i vincitori della Francia, a ruota gli Usa con 13 ma ben trenta scrittori e scrittrici in lingua inglese. Noti sono, invece, i sei vincitori italiani: Giosuè Carducci, Luigi Pirandello, Eugenio Montale, Salvatore Quasimodo, il contestato Dario Fo e Grazia Deledda, sfortunatamente ormai poco letta. E che dire, proprio, dei nomi caduti per lungo tempo in oblio. Ad esempio nel 1920 il vincitore fu il norvegese Knut Hamsum, appassionato di cultura tedesca ma anche attratto dal nazionalsocialismo e, di fatto, per molti fu soltanto un film del 1968, tratto dal suo romanzo più celebre Fame, a riportalo in auge. Quasi per ironia la trama racconta di uno scrittore, affamato, che vaga per le strade di Oslo, mentre nel 2020 la vincitrice dichiara la sua soddisfazione perché così potrà grazie a quanto incasserà con il Nobel comprarsi una casa in Vermont.

Molti quest’anno si aspettavano che fosse una donna a ricevere l’importante riconoscimento per la letteratura e non è un caso che la scrittrice siciliana Giovanna Giordana avesse annunciato di essere stata candidata al premio svedese. Scrittrice interessante, ma non notissima. Bisogna, dunque, dare ragione a Nicola Crocetti, fondatore nel 1981 dell’omonima casa editrice, prezioso punto di riferimento per la poesia, quando afferma che ci si “accorge di certi talenti solo quando arrivano i premi”.

La Glück, poetessa laureata come recita l’onorificenza datale negli Usa, non è certamente molto conosciuta in Italia: poche le traduzioni, poche i libri in commercio e neppure presenti in tutte le biblioteche. Anche poco antologizzata per le scuole, fatta qualche rarissima eccezione, come per un manuale pubblicato da De Agostini in cui una sua poesia è stata inserita in una strana hit parade delle dieci più belle. L’assegnazione del Nobel ha, comunque, incuriosito. Pare che la piccola casa editrice napoletana Dante&Descartes, casa amata da Erri de Luca, abbia avuto -secondo quanto pubblicato dal Corriere della Sera del 9 ottobre- una improvvisa richiesta di prenotazioni, oltre settemila. Si tratta della raccolta dal titolo Averno, lago noto non tanto per la sua posizione geografica, ma per il fascino del mito ad esso legato. Con prudente pessimismo potremmo, però, parlare di interesse simile ad una meteora. Insomma il premio Nobel ha ancora una indiscutibile forza mediatica.

Oltre alle pagine sia cartacee sia dei social, con cui si è cercato di presentare la poetessa americana, qua e là vengono pubblicate alcune sue poesie -una anche sul settimanale Internazionale- o frammenti dei suoi versi. Omaggio necessario ma – a pensarci bene – sempre rischioso. Tutto questo ci dovrebbe, infatti, far pensare ai tanti rischi di una pseudo cultura. La ricchezza di una vita poetica non può essere ridotta a pochi frammenti: sarebbe come leggere i messaggini d’amore di noti cioccolatini. Ma si sa la nostra è la cultura degli slogan, delle comunicazioni da twitter. Purtroppo non saranno pochi versi, ma neppure le pagine dei giornali che con dovuto tempismo hanno riassunto la vita di Louise Glück e sintetizzato la sua poesia, a farla apprezzare.

Il Corriere della Sera l’ha definita La Nobel confindenziale, il Manifesto in modo più articolato ha parlato di Meditazioni metafisiche e Avvenire ha colto i poli più significativi di questa poetessa, di famiglia ebraica, (o poeta come amava essere chiamata Alda Merini) che si è confrontata con la tradizione classica e con il mistero della bellezza, fino a sfiorare Dio. Tre approcci diversi e parziali per ricordarci ancora una volta come non si possa mai né semplificare né rinunciare al confronto. Riflessione- forse troppo lapalissiana- anche per un vero giornalismo culturale. Proprio per questo aspettiamo con fiduciosa speranza il discorso che la poetessa pronuncerà al momento della consegna del premio, il 10 dicembre. Per ora ci diamo un compito: leggere o rileggere quello prezioso nella sua profonda semplicità che fece a Stoccolma il nostro Eugenio Montale in cui egli ricordava quanto abbiamo bisogno di poesia. Per questo, nonostante tutto, il premio Nobel di quest’anno è stato importante.

 

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