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Attualità

AUDIENCE IN CALO

SERGIO REDAELLI - 23/10/2020

Il papa durante l'incontro con i giornalisti del settimanale belga Tertio

Il papa durante l’incontro con i giornalisti del settimanale belga Tertio

Vacilla il consenso dei media italiani a papa Francesco. Quasi all’unisono, dopo le scintille fra il Vaticano e Mike Pompeo sull’accordo per i vescovi cinesi (il New York Times ha scritto che l’inviato di Trump è stato sostanzialmente “respinto” dal pontefice per il rifiuto di riceverlo in udienza), i giornali di casa nostra hanno lasciato partire un plateale coro di critiche contro il pontefice. Doppio bersaglio l’enciclica Fratres omnes appena licenziata dal papa e lo scandalo finanziario scoperto nelle sacre stanze che ha coinvolto il cardinale Becciu. Critiche velenosissime: Bergoglio è un antitaliano, un eretico, un comunista, è più estremista di Marx, Lenin e Mao, è a capo di una Chiesa con molte falle.

Marcello Veneziani sulla Verità si scaglia contro l’assunto papale secondo cui “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha messo anzi in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”. Il giornalista critica le condanne implicite del sovranismo e della riapparizione della cultura dei muri contenute nel documento papale bollandole come “un inno al comunismo, contro l’occidente cristiano e contro la proprietà privata”. E il quotidiano Libero osserva che “Fratelli tutti appare come un definitivo viatico morale all’Unione europea per fare del Bel Paese il campo-profughi del continente”.

Le critiche piovono anche dalla stampa moderata. Rispondendo alla mail di un lettore, Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera si interroga sul presunto declino della Chiesa e osserva che talvolta l’apertura di Francesco alle periferie del mondo rischia di essere fraintesa: “Ad esempio – scrive – l’obbligo di ospitalità non può diventare un via libera ai migranti e ai loro sfruttatori”. E lo lascia perplesso il fatto che “a reggere la più grande diocesi d’Europa, Milano, e una delle capitali della cristianità, Parigi, non c’è un cardinale che concorrerà a scegliere il prossimo papa, mentre c’è ad Agrigento sotto la cui giurisdizione ricade Lampedusa”.

La sensazione è che “non tutte le aspettative suscitate dall’elezione di un papa chiamato Francesco siano state mantenute”. I sospetti di terzomondismo e anti-italianità risiederebbero nel fatto che, mai nella storia, la diocesi di Milano e il patriarcato di Venezia non sono stati retti da un cardinale. Per Cazzullo “anche questo è un segno, se non di declino, di un passaggio d’epoca”. E invita a leggere il libro fresco di stampa di Massimo Franco intitolato significativamente L’enigma Bergoglio, la parabola di un papato, che attribuisce falle e contraddizioni alla guida di Francesco. Ospite di Vespa a Porta a Porta, lo stesso vaticanista del quotidiano milanese parla di S. Marta dove Francesco risiede come centro di potere e “curia parallela”.

Intervistato sempre dal Corriere, il cardinale Camillo Ruini rivendica il diritto di criticare papa Francesco (“Non significa essergli contro”). E senza citare Bergoglio, a proposito degli scandali finanziari emersi tra Londra e la Santa Sede, Ernesto Galli della Loggia rimpiange “l’Italia cattolica di stampo aristocratico e borghese che affiancava una volta la Chiesa nelle diocesi e in Vaticano, invece dei tipi loschi a cui da troppo tempo si è abituata a fare ricorso”. Ne attribuisce la colpa alle scelte post-conciliari, “orientate al rinnovamento, all’uscita dai vecchi schemi, al ripudio delle antiche abitudini”. Una tesi davvero strana: c’è tutta una letteratura su cardinali, nobili e opachi faccendieri nella Roma dell’800. Per non dire degli scandali bancari nei secoli precedenti.

Nell’intervista concessa al direttore di Repubblica Maurizio Molinari all’uscita dall’incontro in Vaticano con il segretario di Stato Parolin, il già citato portavoce di Trump ha ribadito la pretesa americana di influenzare la “politica estera” di Francesco: “La Santa Sede ha un enorme potere ed un’enorme capacità di influenzare – ha detto Mike Pompeo – per questo ho sottolineato l’urgenza di adoperare tale potere per chiarire alla Cina che queste attività sono inaccettabili”. Parole molto diplomatiche. La realtà è più spigolosa. Per Pompeo chi può mettere fine al regime comunista deve farlo. Parolin replica che non si strumentalizza il papa e giudica inopportuno sbandierare questo argomento per ottenere consenso elettorale in Usa.

Di Bergoglio non piacciono ai giornali, o danno l’impressione di non piacere, la posizione netta sul dialogo con la Cina, un certo radicalismo nella difesa dell’ambiente e la scelta di campo senza compromessi a favore dell’accoglienza ai migranti. I suoi sforzi per stroncare il malaffare all’interno del Vaticano spesso gli si ritorcono contro. Come se il papa, anziché togliere i veli e scoperchiare le magagne del passato, tagliare le abitudini distorte, denunciare le coperture compiacenti e i pericolosi rapporti d’affari con faccendieri senza scrupoli, se ne rendesse complice. Se Francesco è costretto oggi a intervenire con il bisturi sul marcio pregresso è una sua colpa?

In controtendenza Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, non perde occasione di ribadire la forte sintonia che lo lega al pontefice argentino. E non solo a lui. Nell’editoriale della domenica intitolato Il premier Conte e il futuro del Quirinale rivela che il capo del governo vorrebbe che Mattarella prolungasse di almeno un anno la sua funzione ma il presidente è restio. Allora si parla di Mario Draghi, di Romano Prodi e di Enrico Letta. Scalfari le definisce “tutte ipotesi abbastanza seducenti” e aggiunge, schierandosi senza troppi complimenti: “Io ho puntato le mie fiches sulla presidenza politica di Giuseppe Conte e su quella religiosa di papa Francesco”.

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