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Attualità

DIMISSIONI E ADDII

SERGIO REDAELLI - 06/11/2020

Bernardo Valli ha lasciato Repubblica che lo ha inviato sui principali fronti di guerra

Bernardo Valli ha lasciato Repubblica che lo ha inviato sui principali fronti di guerra

Pandemia, critiche, autocritiche, dimissioni eccellenti e clamorosi addii. L’autunno caldo dei media registra l’ennesima perdita di una firma illustre per la “nuova” Repubblica del gruppo Agnelli dopo gli abbandoni di Enrico Deaglio, Gad Lerner e Pino Corrias. È la firma di Bernardo Valli, grande reporter di guerra nella seconda metà del secolo scorso. Dalla sua casa parigina, il decano saluta il giornale per il quale ha raccontato l’ormai lontana indipendenza algerina, la rivoluzione khomeinista in Iran, la guerra del Golfo e tanti altri eventi storici. Più dell’età, 90 anni, pare abbia inciso sulla sua decisione un articolo controverso sul Medio Oriente. Secondo Professione Reporter, il direttore Molinari gli avrebbe chiesto di cambiare un articolo forse poco benevolo con Israele.

Valli non lascerà il gruppo, continuerà a scrivere per L’Espresso su invito del direttore Damilano. Lascia invece l’incarico dopo appena 50 giorni Luigi Zanda, il senatore Pd che aveva patrocinato la nascita del quotidiano Domani come presidente della società editrice fondata da Carlo De Benedetti. Zanda, 78 anni, ha motivato il gesto con il conflitto d’interessi, uno scrupolo tardivo. Il suo posto è stato preso da Antonio Campo dall’Orto, ex direttore generale della Rai. La nascita di Domani ha segnato il ritorno di De Benedetti alla carta stampata dopo la cessione ai figli del gruppo Repubblica-Espresso, poi rivenduto alla Exor di Agnelli. In teoria una voce di centrosinistra, in pratica un nemico del governo, come Confindustria e la stampa di destra.

A mettere in imbarazzo Zanda sono stati proprio i violenti attacchi mossi a Giuseppe Conte, invitato a dimettersi senza troppi complimenti con tutto il governo di cui il Pd fa parte. Lo si poteva immaginare. Sin dai primi giorni in cui Domani è apparso in edicola, il patron De Benedetti, rubando il mestiere al direttore Stefano Feltri, ha sparato a zero contro l’esecutivo in carica. Al Corriere della Sera ha dichiarato che il premier “non ha dimostrato di avere una visione per il Paese”, che è “un personaggio casuale, un avvocato che passava di lì” e teme che l’Italia non riesca a cogliere la straordinaria opportunità del Recovery Fund: “È vero – ammette – che sono soldi portati a casa da Conte, ma ora Bruxelles vuole piani dettagliati, altrimenti il finanziamento si sospende”.

Suscita critiche il modo in cui i media seguono il dramma del virus. Troppo spazio nei giornali e nei dibattiti tv agli ospiti negazionisti in un Paese che conta 37 mila morti per Covid. Troppe informazioni distorte, titoli ad affetto e drammatizzazioni senza filtri che mettono a rischio la salute di tutti per questioni essenzialmente economiche: “I talk costano poco – spiega Peter Gomez sul Fatto Quotidiano – in genere gli ospiti non sono pagati e le loro chiacchiere in onda su tutte le reti, dalla mattina alla sera, permettono di far scorrere il tempo senza mandare in onda veri servizi giornalistici o programmi d’intrattenimento che invece costano molto”. Un problema etico. È sbagliato inseguire solo gli ascolti e le vendite. Così i talk a basso costo rischiano di fare cattiva informazione.

C’è infine da registrare la “strigliata” di papa Francesco ai media con l’intervista rilasciata all’agenzia di stampa Adnkronos su vari temi, fra cui la questione morale dentro le mura vaticane: “Sarebbe importante una comunicazione onesta per raccontare quel che sta succedendo all’interno della Chiesa – dice il pontefice – è innegabile che personaggi di vario tipo e spessore, ecclesiastici e tanti finti amici laici hanno contribuito a dissipare il patrimonio mobile e immobile non del Vaticano ma dei fedeli. Purtroppo la corruzione è una storia ciclica, si ripete, arriva qualcuno che pulisce e riassetta ma poi si ricomincia in attesa che giunga qualcun altro a mettere fine alla degenerazione. Il problema della corruzione è profondo, si perde nei secoli, è un male antico che si trasforma. Ma la Chiesa è forte”.

È chiaro il riferimento a come i media descrivono la gestione opaca delle finanze vaticane, gli utilizzi scandalosi dell’obolo di San Pietro e l’imprudenza di certi investimenti all’estero da parte di collaboratori anche stretti del papa. Francesco fa affidamento sulla comunicazione. “Sto imparando” aveva detto ai giornalisti poco tempo dopo l’elezione al soglio di Pietro per descrivere le sue prime relazioni con i media. Era il 2013 e in poco tempo l’allievo è diventato un maestro nel padroneggiare i contatti con la stampa, improvvisare i colloqui, gestire le interviste, intervenire a braccio, rilasciare i videomessaggi e coniare frasi virali come “chi sono io per giudicare?” o “vorrei una Chiesa povera per i poveri”.

Oggi, a sette anni dall’apparizione alla loggia delle benedizioni, Bergoglio invita i professionisti dell’informazione “a respingere i pregiudizi e le esclusioni, a non nascondere la verità né manipolare le notizie”. Lo spiega il libro Papa Francesco giornalista di Giampiero Gamaleri e Fabrizio Noli che riporta cinque messaggi lanciati dal pontefice tra il 2014 e il 2018 con il commento di autorevoli firme (Politi, Gabanelli, Giulietti, Spadaro, De Luca, Lombardi e altri). Per Francesco, il giornalista cattolico ha il dovere di essere portavoce di speranza e di fiducia nel futuro, specialmente oggi che il mondo è alle prese con la pandemia: “C’è bisogno di una narrazione che dia conforto alle persone – dice – e contribuisca a far si che non si ammalino di solitudine”.

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