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Apologie Paradossali

EDUCREATION

COSTANTE PORTATADINO - 20/11/2020

gen-z(S) Avete visto la movida dei giovani nei giorni scorsi, dove e quando il lockdown non era ancora stato applicato? Altro che mandarli a scuola! E il tono delle risposte? “Siamo giovani, a noi il covid19 non ci fa niente!” Come dire: chi se ne frega se tornati a casa infettiamo i genitori e i nonni.

(O) Sì, li abbiamo visti e sentiti, ma non sono tutti così. Fa parte anche del gioco dei media presentare i casi limite, quelli che fanno notizia. Chi sta a casa, manco si nota. Poi spaventare un po’ la gente, presentando gli eccessi negativi, serve a responsabilizzare tutti gli altri.

(C) Io ho trovato un’informazione molto diversa, in merito alla mentalità dei giovani, grazie ad un progetto promosso dall’Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo (Almed) dell’Università Cattolica in collaborazione con il Gruppo Credem. In particolare “Mi fido di te” è lo studio condotto sulla Generazione Z italiana (i nati tra 1995 e 2010) con l’obiettivo di comprendere come essa scelga i propri leader, individuarne la tipologia e capire quali siano le aspettative dei ragazzi. Lo studio si è svolto durante l’estate 2020, quindi proprio a cavallo tra i due lockdown.

Dallo studio è emerso da un lato il bisogno di “affidarsi” a figure competenti oltre che carismatiche, necessità accentuata durante i mesi di lockdown in cui è cresciuta la rilevanza di soggetti come i politici, gli scienziati e i giornalisti, perché considerati autorevoli e capaci di dettare linee comportamentali. Non è un caso che tra le personalità più frequentemente citate ci siano istituzioni e rappresentanti del governo, come espressione dell’autorità, normativa e sanzionatoria in uno stato di crisi. Dall’altro lato appaiono evidenti i bisogni di intimità e vicinanza di questa generazione, più fragile rispetto alle precedenti. Soprattutto i più giovani, nati durante la crisi economica iniziata nel 2008/2009, hanno manifestato un attaccamento di tipo protettivo nei confronti della famiglia di origine, percepita come un “porto sicuro” rispetto alle incertezze della società. I giovani della Generazione Z sono inoltre alla ricerca di guide coraggiose (86%) in grado di lottare e apportare cambiamenti (85%) significativi nel contesto sociale.

(S) Mi sembra difficile mettere sullo stesso piano adolescenti di dodici anni e laureati di ventiquattro.

(C) Non penso di dover discutere i criteri dello studio. Infatti sono evidenti le diversità delle risposte. Io ho però riscontrato due tratti comuni e significativi: tutti sentono il bisogno di riferirsi a persone competenti e riconosciute pubblicamente e in gran parte chiedono un cambiamento del contesto sociale. È anche interessante riscontrare i principali tratti che deve possedere un opinion leader. Li trascrivo letteralmente dall’articolo di Cattolica News: “accanto alla competenza riconosciuta e alla capacità di trasmettere le proprie conoscenze (valori importanti soprattutto per gli over 20 e il target maschile), si colloca il rispetto per gli altri, un valore citato come molto rilevante dal 91% degli intervistati in particolare tra il genere femminile, che si dimostra poi con la gentilezza (86%) e l’empatia (83%). Anche il senso di responsabilità e l’integrità appaiono rilevanti e si sviluppano attraverso doti comportamentali quali l’onestà nel raccontarsi (90%), la coerenza degli atteggiamenti (89%) e la capacità davanti agli errori di mettersi in discussione (82%)”.

(S)Bellissime idee, ma rischiose: ci si espone alla delusione, quando si scopre che nessun adulto raggiunge questi ideali di perfezione.

(O) Forse da questa indagine possiamo apprendere più le ragioni dello svilimento delle autorità morali, quali dovrebbero essere incontrate nella vita reale: genitori, maestri e professori, sacerdoti, insomma le autorità tradizionalmente riconosciute come tali. Vedo infatti dallo studio che molti giovani Generazione Z sognano di esercitare la ‘professione’ di influencer! La precedente generazione ha cercato di laurearsi in scienze della comunicazione per lo stesso motivo, ma con target meno smart: diventare creatore di eventi, pubblicitario, wedding planner, magari ancora giornalista, per accorgersi poi di restare per anni precario a partita iva. Da vero sognatore quale sono, vorrei poter dire a tutti questi giovani di sognare di diventare veramente utili a sé e alla società, grazie ad una acquisita competenza e operatività nella realtà concreta, quella che produce beni reali, che servono alla gente, Non necessariamente merce, a quella magari penseranno i robot, ma produrre servizi, soprattutto alla persona, sarà il campo in cui i giovani troveranno lavoro e anche soddisfazioni morali.

(C) L’osservazione di Onirio porta in luce il fondo del problema: i punti di riferimento dei giovani ci sono, sono desiderati ma non vengono identificati nelle autorità morali, per così dire tradizionali, anche se, contemporaneamente, si richiedono loro qualità non soltanto operative, che definirei competitive, ma soprattutto morali, quelle che i pedagogisti alla moda anglofono definiscono non cognitive skills. Nella confusione di termini, tra inglese e italiano, tra formazione, istruzione, competenze, professionalizzazione, orientamento al lavoro e altre immaginifiche definizioni del cammino dalla scuola alla vita, a me rimane caro il termine EDUCAZIONE, che vedo come l’unico capace di riassumere tutti i valori e gli scopi che vogliamo attribuire al percorso, oggi ormai lunghissimo, che la persona percorre dalle sue prime acquisite autonomie fino alla piena capacità di partecipare alla vita, nella sua interezza.

(S) Come sempre riuscite a mettermi in minoranza. Va bene. Anzi, riconosco che se la Generazione Z vive qualche difficoltà esistenziale e sembra assumere comportamenti poco responsabili e talvolta contraddittori con le conclamate aspirazioni, questo è probabilmente colpa di noi adulti, che non sappiamo essere autorevoli senza essere autoritari e che anche quando avremmo valori veri da comunicare, non lo sappiamo fare e lasciamo che i nostri figli e nipoti siano ispirati, troppo spesso, da fonti di dubbio valore, raccattate a caso via smartphone. Concludo dicendo che i primi destinatari dell’appello alla responsabilità educativa, che costituisce, per esempio, il contenuto delle prime “lettere alla città”, pubblicate su RMFonline sono proprio gli adulti, siamo noi, che abbiamo smarrito questa capacità perché abbiamo dimenticato il senso comunitario dell’esistenza, l’unica condizione che mantiene vivo, nell’adulto come nel giovane, la disponibilità al rischio educativo.

(C) Dopo questa tua iniziale autocritica dell’adulto in quanto genitore, ci aspettiamo però che i contributi in positivo apparsi nelle scorse settimane nella rubrica “Lettera alla città” suscitino qualche testimonianza di operatori scolastici o di studenti che raccolgano lo spunto di potersi misurare con una circostanza eccezionale come la pandemia e ci confortino con il racconto di una esperienza autentica. Ricordo l’indirizzo dei contributi: lettera.alla.citta.@gmail.com

(S) Sebastiano Conformi (O) Onirio Desti (C) Costante

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