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Attualità

L’ASINO

EDOARDO ZIN - 04/12/2020

La fuga in Egitto al Sacro Monte

La fuga in Egitto al Sacro Monte

Ricorderò sempre quell’autunno splendido e fuggitivo di trent’anni fa. Percorrevo con un amico la strada che congiunge Taizè a Autun, in Borgogna. Nell’atmosfera brumosa e ovattata, risaltavano sui pendii le rosseggianti vigne e nei boschi le foglie erano rosse, brune e gialle. L’amico, uno storico dell’arte, si era ostinato a farmi visitare la cattedrale romanica d’Autun. Ero stanco e desideravo rientrare a casa, ma l’amico insisteva. Ammirando la cattedrale, mi convinsi che valeva la pena di fare un centinaio di chilometri in più per ammirare uno splendido tempio romanico che segna il confine tra le cattedrali romaniche del sud e quelle gotiche del nord.

L’amico mi presentò ad un canonico che ci fece da guida nella visita: l’incantevole portale descrive la storia della salvezza che si snoda attraverso il tempo raffigurato dai vari lavori dei mesi dell’anno, archi a tutto sesto, tetto in piastrelle colorate su cui domina la guglia eretta sul transetto, copertura a volta di botte, colonne con capitelli istoriati.

Su uno di questi si soffermò in particolare il canonico. In una scena d’angolo il volto di Gesù si specchia in un muso di un asino scolpito nell’altro angolo del capitello. Gli occhi di Gesù e quelli dell’asino si guardano stupiti. Il canonico mi spiegava che l’asino è sinonimo di umiltà e di servizio, proprio come Gesù è mite ed è venuto per servire e non per essere servito. A questo punto interviene il mio amico che ci narra come in una catacomba sul Palatino, a Roma, sia stata scoperta un’antica raffigurazione di Gesù in croce con una testa d’asino, con un’iscrizione in cui è inciso: “Io adoro il mio Dio”. Sorse tra noi tre una diatriba: io sostenevo che poteva essere un graffito blasfemo mentre i miei due compagni, con dotte citazioni dell’antico testamento e con numerosi richiami al Vangelo, asserivano che sì Gesù può essere accostato alla figura dell’asino, così come viene accostato all’agnello, al cervo.

Mi sono sovvenuto di questo episodio leggendo il vangelo di Marco che sentiremo proclamare domenica, la quarta che ci prepara al ricordo del Natale del Dio che si è fatto uomo.

Non sono un esegeta, ma solo un povero cristiano che si lascia interpellare dalla lettura della Parola. È il brano che nel rito romano si legge alla domenica delle Palme: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, prima della sua passione e morte. Mi sono chiesto perché nel nostro rito ambrosiano si legge in Avvento. Una risposta può essere questa: finora abbiamo riflettuto su “quando” Gesù verrà, oggi il Vangelo ci invita a considerare “come” Egli verrà. E c’è una seconda ragione: la sua nascita prelude la croce, la mangiatoia anticipa il sepolcro, così come ci descrive un affresco della cripta del nostro Sacro Monte.

Il popolo ebraico attendeva il Messia come “profeta”, “re” guerriero, l’unto, dominatore che avrebbe instaurato finalmente il Regno d’Israele. Ed invece entra nel tempo come un semplice essere umano a cui “mancano panni e foco”, nel freddo di una grotta, nato da una donna ed entra nella città santa a dorso di un asino. Durante la sua vita si renderà servo degli altri, si caricherà del peso del nostro male fino alla croce dove si rivelerà e sarà riconosciuto Dio.

L’asino è il protagonista di questo brano di Marco: viene nominato quattro volte e Gesù una sola volta. L’asino, si sa, è umile, servizievole, porta il peso degli altri, è testardo, non gli si può insegnare molte cose. In realtà è avveduto: si rifiuta di portare un carico eccessivo, recalcitra, riconosce il percorso da compiere e i propri limiti. Gesù entra nel mondo a dorso di un asino, che è il suo trono, non come un trionfatore a cavallo di un bel destriero bianco, bello, elegante, signorile, pronto a dar battaglia. Talvolta, anche in questi giorni di pandemia, qualcuno si è azzardato a dire che Dio è lo spauracchio, il principio di ogni male, padrone di tutto, con in mano le sorti della guarigione: così ce lo aspettiamo. È questa visione distorta di Dio che Gesù è venuto a cambiare con la sua incarnazione: egli è si è fatto uno come noi soprattutto per servire, per amare, per liberarci sì dal male, non usando gli strumenti del potere, ma quelli del servizio e della mansuetudine. Ci chiede solo di avere fede in lui, fiducia che possiamo ottenere con la persistente preghiera.

Andate nel villaggio di fronte a voi, e subito, entrando in esso, troverete un asinello legato, sul quale nessun uomo mai si è seduto; slegatelo e portatelo…” – così Gesù dice ai suoi discepoli. L’asino è legato, non è libero. Anche l’uomo, quando vuole emulare la falsa visione di Dio, è legato al suo individualismo, al suo egoismo, alla poca attenzione per gli altri, ai falsi modelli ed è vincolato dalla schiavitù del male. Su quell’asinello nessuno vuole montare: si preferisce salire su altre cavalcature, ma non su quella della condivisione, del servizio umile verso gli altri: si preferisce salire sulla cavalcatura del potere. Gesù dà un ordine: “Slegatelo!”. Ecco il compito affidato ad ogni uomo: slegare, liberare, slacciare ogni persona che è legata dal rancore verso gli altri, dall’odio verso il diverso, da chi è prigioniero a causa dell’ingiustizia, dalla violenza delle guerre, dalla prepotenza del danaro.

E portarono l’asinello a Gesù, e gli gettarono i loro mantelli e si sedette sopra di esso”. Penso a quei mantelli sdruciti e laceri che diventano il basto di Gesù. Per quei discepoli Il mantello era il vestito, la coperta e, forse, il giaciglio: investono così i loro averi nel servizio, nel dare tutto, nel perdere tutto. Gesù si siede su quei mantelli e l’asino diverrà il suo trono.

Sarà un Natale speciale quello di quest’anno, “sospeso” tra la sobrietà e l’enfasi, tra il pranzo consumato nell’intimità di pochi e la smania di succulenti banchetti. Perfino l’orario della Messa di mezzanotte è diventato motivo di dissenso tra alcuni politici e i cosiddetti credenti “di tradizione”, da una parte, e liturgisti, parroci, fedeli dal cuore nuovo, dall’altra: l’Italia sembra diventata un immenso consiglio pastorale.

Pochi pensano che Maria e Giuseppe hanno dovuto spostarsi su un asino da Nazareth a Betlemme, che a riscaldare il Bambino c’era il fiato di un asino e di un bue, che la piccola famiglia dovette migrare in Egitto sul dorso di un asino e che Gesù entra nella storia seduto su di un asino per dirci che con il Natale qualcosa di diverso è accaduto: Dio nasce nella povertà per dirci che la sola ricchezza è il cuore dell’uomo, che Dio nasce fra gli oppressi per dirci che qualsiasi persona è preziosa perché sua carne,

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