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Attualità

LAS MARIPOSAS

LUISA NEGRI - 04/12/2020

Le tre sorelle Mirabal

Le tre sorelle Mirabal

Non abbiamo fatto in tempo a ricordare la giornata della violenza sulle donne, il 25 novembre, che arrivava da Padova la notizia di una donna uccisa dal compagno, colpita a morte da una coltellata nel petto.

E subito ci siamo ritrovate di nuovo con l’amaro in bocca.

L’espressione è eufemistica, naturalmente. La realtà, cruenta e tragica, ogni giorno di più sembra riportare indietro nel tempo.

Quel lontano 25 novembre, era il 1960, furono uccise barbaramente le tre sorelle Patria, Minerva e Maia Teresa Mirabal per il loro impegno politico contro il dittatore dominicano Truijllo. Las mariposas, così furono poi sempre chiamate, col nome in codice, andavano a trovare i compagni arrestati per motivi politici.

Ma la violenza contro le donne, lo continuiamo a vedere, non è finita quel giorno entrato nella storia sessanta anni fa. La sua infinita scia di sangue ci fa male.

E demoralizza, per quanto ci sentiamo misconosciute e abbandonate, amate mai e colpevoli sempre. Anche quando siamo vittime, siamo sempre noi donne a pagare il conto. Per le colpe che non abbiamo commesse, e che pure ci vengono ingiustamente attribuite. Perché giudicate incaute o ingenue, a volte persino ‘civette’. Insomma non sapremmo “stare al nostro posto”. Perché ci mettiamo le gonne corte o il trucco pesante, perché usciamo di casa in certe ore, magari di sera. E perché una donna da sola non può andare in giro senza rischiare. Peccato non lo si possa fare per andare a teatro, ai concerti o al cinema, o per altri svaghi, mentre lo si deve certo per andare al lavoro. E ormai non c’è lavoro che tenga, sia che fai il medico, l’infermiera, l’avvocato, il militare di carriera o l’operaia coi turni di notte, devi fare la tua parte come fossi un uomo.

E allora cosa siamo, chi siamo mai noi da essere così manovrate e maltrattate come fossimo bambole di pezza? Da strapazzare fino a farci uscire l’anima e i visceri. Quanto vale ormai la vita di una donna?

Le giustificazioni degli uomini accusati e portati in giudizio per le colpe commesse contro di noi sono infinite e ormai insopportabili: la gelosia, la paura dell’abbandono o di perdere il lavoro, la malattia mentale, l’assuefazione agli stupefacenti dei quali si è prigionieri sono le scuse che anche gli avvocati portano avanti, a testa alta, per i loro assistiti. È così nel nostro Paese e lo è nel mondo intero. Le fragilità degli uomini ricadono sempre come colpa sulla testa delle donne. Finirà mai questo strazio del corpo e dell’anima? E questa sfacciata ipocrisia e tracotanza dove tutto si autogiustifica? Come se fossimo ancora fermi alle procedure giudiziarie riservate alla povera Artemisia Gentileschi. Ricordata per la sua bravura artistica, ma ancor più per aver pagato, con la denuncia dello stupro, lo strazio di un processo più crudele e alienante della stessa violenza subita.

I luoghi della violenza sono spesso i più insospettabili, tra le parteti domestiche si consuma la maggior parte dei delitti. Non si tratta di un’opinione, ma di una statistica, sempre più confermata. Ci dicono che siamo la metà del cielo, ma l’altra metà fa vivere noi all’inferno.

Facciamo pure finta per un solo momento che carnefici e legali degli stessi siano convinti delle motivazioni addotte in difesa dei misfatti. Ma tutti gli altri, una buona fetta della società che guarda e ascolta, che scorrazza e semina frasi insulse sui social dove si promettono sostegno, vicinanza a ciascuno, da mattina a sera, dove sta? Da che parte stanno i giornali, i magistrati, i sociologi, i politici, i medici? Da che parte stanno i preti, i padri di famiglia, gli imprenditori, tutti insomma quelli che hanno un ruolo nel mondo? E anche tante donne che sminuiscono o preferiscono mettere la testa sotto la sabbia, per non vedere quello che anche loro accettano?

E perché sono tollerati nelle grandi capitali, dove lusso e benessere vanno alla grande, posti in cui notoriamente girano ‘ragazze-immagine’, droghe, e bellimbusti falliti, arrabbiati con se stessi e con la vita, che possono fare di una donna- preferibilmente ragazzine sprovvedute neo maggiorenni-quello che vogliono?

Grazie allora per l’invito alla prudenza a uscire di sera, se arriva dai genitori o dai nonni si può, si deve, accettare. Ma grazie a tutti, se ognuno si prenderà finalmente le proprie responsabilità.

Cominciamo a stabilire che le donne non sono asini da soma, da far lavorare quando servono e scaricare quando no, né semplici incubatrici del genere umano, né animaletti da compagnia usa e getta. Il rispetto è il primo dei doveri di un uomo che voglia sentirsi tale.

È poi ora che leggi e provvedimenti giudiziari siano una volta per tutte adeguati ai fatti commessi. Usare violenza fisica e psicologica nei confronti di una donna non può essere giudicato alla stregua di un furto di ciliegie nel giardino del vicino, anche se non si arriva all’omicidio.

Chi muore dentro, muore di più.

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