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Cultura

PAROLE & MUSICA

SERGIO REDAELLI - 20/04/2012

Romano Oldrini (foto Chiodetti)

“Gavirate è una terra d’artisti, seconda solo alla Luino di Chiara e Sereni e alla Portovaltravaglia di Fo”: lo dice Romano Oldrini, collezionista e critico d’arte, editore e promotore culturale reduce dalla presentazione del libro Luoghi d’incanto – Percorsi d’autore nelle terre dei laghi varesini con Chiara, Liala, Morselli, Rodari e Sereni. Medico, ex-sindaco di Gavirate, Oldrini ha gestito le attività del Chiostro di Voltorre dal 1977 al 1995 (“con trentacinque mostre”, puntualizza) e presiede l’associazione degli Amici di Piero Chiara. “Non parlo di Morselli e Rodari di cui si conosce già tutto – spiega – ma dei numerosi artisti e letterati che fra Otto e Novecento portarono il fresco alito dell’arte su questa sponda del lago. Penso al gaviratese d’adozione Aldo Mazza, grande illustratore, pittore e caricaturista del Guerin Meschino che ritrasse i benefattori nella quadreria Ca’ Granda di Milano. Suoi sono i pregevoli acquarelli in bianco e nero di una lettura della mia infanzia, il libro “Mani nere e cuor d’oro” di Guido Fabiani (editore Vallardi) e da allora colleziono i suoi libri, le cartoline e i manifesti pubblicitari”.

Oldrini ha una curiosa storia personale. Fino a cinquantuno anni è stato medico ospedaliero al Circolo di Varese, poi medico di base e ora libero professionista. Nel 2006 ha preso una seconda laurea in lettere e ha dedicato la tesi a una poco nota scrittrice di Gavirate, Maria Volpi Nanipieri, in arte Mura, che pubblicava letteratura rosa e fu maestra di Liala: “Romanzi non di altissima qualità – osserva – ma vendeva moltissimo, cinquanta-sessantamila copie a volume. Fu la scrittrice di punta della casa editrice Sonzogno. Faccio collezione anche delle vignette politiche di Guido Scalarini, grande cartoonist dell’Avanti perseguitato dal fascismo che visse a lungo a Gavirate e raccolgo le tavole del comasco Giulio Cisari che negli anni Venti illustrò le prime collane di romanzi popolari Mondadori e sposò una varesina”. Appassionato di Neruda, Oldrini è anche poeta. Ha pubblicato Ascolta il Silenzio (1985), Inchiostri segreti (1987), Falsa certezza (1989), Per piste di dissolvimento (1993), Morire di petto (1995) e Vibrato di basso continuo che s’ispirano alla poetica del quotidiano di Giovanni Giudici e Giorgio Caproni.

“Per me è possibile tradurre in poesia anche il semplice gesto di un caffè bevuto al bar. Niente grandi sentimenti ma cronache banali di tutti i giorni. Senza rima. Verso libero”. Ha collaborato, con le sue liriche, con Enrico Baj, Antonio Pedretti, Giorgio Vicentini, Agostino Zaliani e con il musicista Sergio Bianchi. Nella sua fornitissima biblioteca (oltre novemila volumi), non mancano i classici d’ogni generazione, sempre con un riferimento a Gavirate: “Iniziai a quattordici anni leggendo Collodi, Il piccolo alpino di Salvatore Gotta e I ragazzi della via Pal di Ferenc Molnar, una lettura entusiasmante. Me la fece amare il maestro elementare Enrico Marchi che poi diventò direttore didattico del comprensorio Gavirate-Comerio e vicesindaco. In quinta ci faceva leggere due o tre pagine al giorno, lo finimmo in un mese. Poi il maestro ci diede quindici giorni per farne il riassunto. Oggi Marchi ha ottantaquattro anni e vive a Gavirate. Col tempo i ruoli cambiano nella vita e mi sono sdebitato curandolo come paziente”.

C’è tanta letteratura nella vita di Oldrini ma, a sorpresa, anche una ricca collezione di musica rock. “Negli anni Sessanta ascoltavo le romantiche ballate di Peter, Paul & Mary e i Byrds di Mr Tambourine Man, la cover di Bob Dylan che all’epoca faceva impazzire i ragazzi”, continua. “Ho amato la cultura hippie, gli Allman Brothers e il rock texano degli ZZ Top tutto canyons, chiari di luna e mandrie di bisonti al galoppo e a distanza di mezzo secolo sono un incallito collezionista di memorabilia musicali. Posseggo tremila fra vinili e cd che vanno dai “roots gospel” delle piantagioni di cotone della Lousiana alle contaminazioni dei generi. Amo la musica che mescola blues, country, jazz, soul e rock. Mi piace andare a scoprire chi ha inciso un lp e poi si è perso, gli autori borderline, l’arte povera, i talenti non sfruttati dall’industria del business. Ho interi scaffali di riviste cult per i musicofili (Ultimo Buscadero, Mucchio Selvaggio). Mi piace scavare nelle tendenze, esplorare le cantine”.

“Il disco più bello? Quello che consiglierei a un giovane? Sicuramente è Nebraska di Bruce Springsteen. Folk poetico, scarno, essenziale. Niente prediche ma lucido specchio della società. Il folk-blues è l’anima degli ultimi cinquant’anni. Ci sono poesie e musiche che oltrepassano il tempo, Like a rolling stone di Bob Dylan è una delle canzoni più belle mai scritte. Non serve spiegare perché, basta ascoltare. Accade lo stesso osservando un quadro o leggendo un libro. Devi sentire se ti fa vibrare. Non c’è altra formula. Siamo abituati a ragionare a compartimenti stagni, invece bisogna rompere gli schematismi verticali frutto della cultura scolastica. Il messaggio di Jack Kerouac, per esempio, esalta i temi eterni dell’irritualità e del rischio. Non si deve aver paura dell’ignoto, mai appiattirsi sul già detto. Born to run del Boss, nato per correre, è il controcanto di Aspettando Godot di Samuel Beckett, la ricerca continua, l’attesa che non arriva mai alla fine. A che cosa servono i versi se non per la rugiada? si chiede Pablo Neruda. La poesia è linfa sia nella pagina sia sulla tela e al grammofono. Ho amato i pittori astratti, i minimalisti americani, i cantori della solitudine come Edward Hopper. Dipende dai momenti dalla vita”.

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