Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Parole

MORTIFICAZIONE

MARGHERITA GIROMINI - 11/12/2020

distantiMi riesce difficile capire le opposizioni, tra il semantico e il politico, all’uso dell’aggettivo “sociale” abbinato al sostantivo “distanziamento”.

I detrattori dell’espressione “distanziamento sociale” affermano che l’aggettivo “sociale” andrebbe sostituito con “fisico”. Questo perché la socialità sarebbe in salvo grazie alla presenza di un vasto mondo di relazioni che ha continuato ad esistere anche nel difficile periodo del lockdown ed esiste ancora oggi, in presenza delle fatiche di una vita quotidiana stravolta dal virus.

La socialità sarebbe mantenuta ben viva anche grazie al sostegno sia materiale sia psicologico garantito alle tante persone in difficoltà.

Ne deduco che stando a questo pensiero quel metro e poco più non riesce a creare un fossato tra le persone: la relazione interpersonale resterebbe integra.

Non concordo con questa posizione sulla base dell’esperienza di questi dieci mesi.

Durante il confinamento abbiamo sperimentato la sofferenza di vivere lontani dalle persone care e sentito il peso e la fatica di dover rispettare, durante i limitati incontri con le persone più care, la richiesta distanza materiale.

Abbiamo percepito le costrizioni come strappi inferti all’affettività.

Il distanziamento fisico, che è fisico solo in apparenza, ha contribuito a impoverire le relazioni tra le persone, avendo escluso i baci, gli abbracci, le carezze, i buffetti, la mano sul braccio dell’altro, financo le pacche sulle spalle, tutti quei gesti spontanei che fanno parte della quotidianità del nostro vivere sociale.

Il distanziamento ci ha imposto di ritrarre la mano da quella del conoscente o dell’amico che istintivamente prova a stringere la nostra in segno di saluto.

Come non ritenere “sociale” il distanziamento inflittoci dalla pandemia?

Un appuntamento con due amiche per un caffè da asporto mi ha dato la misura di questa sensazione: uscite dal locale pubblico reggendo i bicchierini usa e getta, ci siamo disposte sopra gli angoli di un immaginario grande triangolo nella piazzetta antistante il bar, lontane l’una dall’altra come dagli altri utenti.

Abbiamo bevuto il caffè quasi timorose, rialzando immediatamente dopo le mascherine.

Con il volto coperto per metà ci siamo parlate ma le parole suonavano innaturali, così ridotte di numero e di timbro.

Non è facile conversare senza poter cogliere i movimenti delle labbra degli interlocutori.

Senza i sorrisi ogni dialogo si fa complicato perché non bastano i gesti a sopperire all’assenza delle espressioni del volto. Anche l’udito è penalizzato.

A mortificare il piacere dell’incontro, atteso e temuto allo stesso tempo, le conversazioni si riducono e si affievoliscono.

Il posizionamento che ci eravamo imposte, ferme sugli angoli di quell’immateriale triangolo che garantiva la corretta distanza, ha penalizzato in modo tangibile quel ridotto sprazzo di socialità.

Credo davvero che il distanziamento imposto dalla pandemia sia “sociale” a tutto tondo.

Tornerà il tempo in cui il distanziamento sociale di cui siamo prigionieri oggi sarà il ricordo di una fatica pesante ma necessaria. Sarà il tempo di tornare ad abbracciarci, sfiorarci, sostenerci, ridere e sorridere, usando di nuovo parole chiare e ben riconoscibili.

Noi esistiamo in quanto ci relazioniamo, lo ricordo con questo pensiero del filosofo dell’educazione Martin Buber: “in principio è la relazione”.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login