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Attualità

IL CAMPANELLO

ROBERTO CECCHI - 18/12/2020

semplificazioneC’è sempre un momento in cui i nodi vengono al pettine, se si è sempre rinviato, pervicacemente, il momento di far pulizia. Adesso, il momento è arrivato e stavolta si chiama Covid. Questa maledettissima pandemia, che uccide più di una guerra, metterà in luce un altro dei nostri limiti strutturali e cioè la mancanza di un impianto organizzativo collaudato, salvo poi dare il meglio quando siamo alle strette e dobbiamo improvvisare. La pandemia ha già resa evidente la vulnerabilità del sistema sanitario nazionale, dove è chiaro a chiunque, ormai, che il problema non sono le persone, i medici, ad essere inadeguati, ma è il sistema organizzativo con il quale si è deciso di governare la difesa della nostra salute.

Era evidente a tutti che un sistema frammentato come quello italiano, non avrebbe potuto dare risposte e, tantomeno, le avrebbe potute dare nei tempi stretti quali sono quelli che un’emergenza richiede, se non al prezzo di dolori e lutti. Ma nell’ormai lontano 2001 e nell’ormai nota riforma costituzionale (Titolo V della Costituzione), si decise di assecondare una stolta mediazione, secondo la quale andavano premiate le regioni, riconoscendo loro potestà esclusiva in materia di sanità, insieme a molto altro ancora, come si fosse trattato di fare un cadeau. Per effetto di quella scelta dissennata, che non aveva niente di logico, se non il desiderio compiacere a una richiesta insana (nel senso di intempestiva, perché non erano maturate le condizioni per un’autonomia di queste proporzioni), siamo arrivati al punto in cui ciascuno, in questo Paese, si fa le regole a seconda di come si sveglia. E così, nonostante la dichiarazione dello stato d’emergenza e nonostante quel che sta succedendo, qualche regione legifera indipendentemente dal coordinamento nazionale. In barba al buon senso e a qualsiasi regola di buona amministrazione. E al prezzo di attenuare considerevolmente la capacità di risposta, perché frapponendo ostacoli all’azione amministrativa nel suo complesso è evidente anche ad una capra, come direbbe Sgarbi, che i tempi si dilatano. E non è quel che serve durante un’emergenza, dove proprio la risposta tempestiva è già di per sé una buona metà della soluzione. Per cui, all’interno di questi vuoti il virus circola indisturbato.

Ora, all’orizzonte appare un’altra emergenza, quella della capacità di spesa e cioè della capacità dei soggetti attuatori di sviluppare e realizzare progetti, per la dimensione stratosferica di ben 209 MLD di Euro (Recovery Fund – Next Generation), per il rilancio del Paese dopo l’emergenza pandemica. Son preoccupazioni legittime quelle che si intravedono all’orizzonte, perché nei decenni passati non siamo stati capaci di spendere le risorse che l’Europa di volta in volta ci ha assegnato. Abbiamo residui passivi imponenti già adesso. I residui passivi sono, in termini tecnici, le spese già impegnate e non ancora ordinate, cioè, risorse che rimangono ferme al palo, nonostante siano disponibili perché, per una serie di motivi, non siamo stati capaci di utilizzarle. Per esempio, per la difesa dai cambiamenti climatici, anni fa ci furono assegnati 162 MLD di Euro (programmazione 2014-2020). Ne abbiamo spesi poco più del trenta per cento. Il resto è ancora lì da impegnare. Ma è solo un esempio e non è il peggiore. Come per i medici (che si son dimostrati un vero presidio di capacità e di abnegazione per il Paese) anche per la capacità di spesa non è una questione di persone o di professionalità, ma di regole. Mentre, si sente già parlar di riforme della pubblica amministrazione, come se si trattasse di un’operazione da fare in un quarto d’ora e per di più in piena emergenza. E come se ci fosse una diagnosi seria e avessimo accertato che c’è un corpus di soggetti inadeguato, a cui attribuire tutte le responsabilità, prima di cominciare. Non è questo il punto. Come nel caso della sanità, anche in questo caso il problema sta nei progetti e nelle regole. Per evitare l’onta di non saper spendere (e, dunque, come è già successo, che quei danari tornino indietro all’Europa e vengano utilizzati da altri), bisogna che i progetti di cui si parla siano davvero dei progetti. Non è sufficiente fare la lista della spesa. Bisogna argomentare le necessità e stilare una serie di azioni coordinate per investire l’intero territorio nazionale. Va elaborata la complessità, prefigurando e stabilendo chi e come dovrà perseguire gli obbiettivi assegnati. Ci vuole un progetto unitario e bisogna evitare di farsi tirar per la giacca, come mi pare stia già accadendo. E ci vuole una progettualità di dettaglio. Meglio se resa pubblica, proprio nei particolari, per tenere sotto controllo in forma diffusa quel che succede.

Quanto alle regole, basta rimuovere gli impedimenti. Difficile anche solo riassumere di che cosa si tratta. Si possono fare solo degli esempi per dire che, proprio per la spesa pubblica, ci siamo dati delle regole – che non sono il parto della burocrazia, ma della politica – alle volte completamente inutili e alle volte semplicemente dei doppioni. Tanto per fare un esempio, fino a qualche anno fa (ma è ancora così), nell’amministrazione dei beni culturali esistevano regole che, sommate le une alle altre, interpongono circa due anni di tempo tra la stesura del progetto e l’inizio dei lavori. Due anni sprecati, semplicemente per una serie di adempimenti burocratici, durante i quali non si può fare assolutamente niente, se non aspettare. In teoria, si tratta di adempimenti a garanzia della trasparenza e dell’efficacia dell’azione amministrativa. In realtà, è una sommatoria di stratificazioni normative che andrebbero sfoltite letteralmente con l’accetta. Inutili e ripetitive. E non lo può fare una singola amministrazione da sé e per sé, perché sono regole che intercettano una molteplicità di soggetti pubblici, che svolgono funzioni analoghe. È qui che serve una cabina di regia (per carità, senza voler suggerir nulla al Governo!). Che già esiste, peraltro. In origine, si trovava a Roma in via della Vite, si chiamava Dipartimento per l’organizzazione amministrativa e, forse, svolgeva compiti un po’ diversi da quelli di adesso. Basta suonare il campanello, comunque, per farsi aprire la porta della semplificazione.

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