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Attualità

QUALITÀ, NON QUANTITÀ

EDOARDO ZIN - 24/12/2020

giuseppeÈ un Natale vissuto tra risentimento e perdono, quello di quest’anno. “Ci vogliono rubare il Natale” – alzano la voce arrogante coloro che vogliono la messa di Mezzanotte, ignorando che non si conosce né il giorno né l’ora in cui Dio si è fatto uomo. “Bloccano il Bambino” – protestano coloro che hanno inibito l’ingresso nei porti o lasciato affondare in mare imbarcazioni colme di bambini. “Ci vogliono rovinare la festa” – contestano coloro che confondono la nascita di Gesù con il cenone, le vacanze sulla neve e non si inginocchiano davanti al Bambino che nasce in una greppia. “I miei bambini non potranno avere la festa” – reclamano alcuni genitori, come se i bambini che sono ammassati nei campi profughi di Lesbo, di Moria, di Centa o di Melilla e vivono nella violenza invisibile non fossero figli del medesimo Padre, di tutti noi.

Vero è che costoro “ci sequestrano il Natale” come se fosse un party per invitati, mentre il Natale è per tutti. “Pace in terra agli uomini che Egli ama”.

Ti chiediamo perdono, Signore, per chi ti vuole scomodare a mezzanotte, che si accontenta di baciare la tua statuina di terracotta, non adora Te, ma preferisce indicare il bue, l’asino, il cammello che s’ingrassano a vista d’occhio e le pecore, i pastori, le palme, le agavi che sono più numerose del presepio dell’anno precedente. Ci siamo fermati a fare i bei presepi – “simbolo della nostra civiltà cristiana” – ma i presepi gridano contro di noi in questo Natale con voce più forte di qualsiasi sovversivo che la mia parola non sa descrivere.

È un Natale tra rancore ed amore. Mentre l ‘Inaccessibile, l’Invitto, l’Eterno si fa uomo per liberarci dai “virus” che ci seducono, l’umanità marcia per le strade irte e seminate di nulla, infeconde, verso la meta del potere e del danaro e non sa invece che va incontro alla paura, alla tristezza e alla morte. Il Figlio entra nel tempo, inviato dal Padre, scende sulla terra, prende dimora tra gli uomini, toglie il limite tra finito ed infinito, tra umano e divino e l’umanità preferisce guardare ad occidente e ad oriente, si serve di Trump o di Biden, di Putin o di Erdogan come se il Salvatore stabilisse la parentela con l’uomo un solo giorno, mentre la carità divina aumenta sempre più e resta fedele per tutti i giorni anche per chi non gli è più fedele.

Sembra che la storia sia una continua smentita dell’amore di Dio. Dopo venti secoli ch’Egli è venuto, che cosa è cambiato nel mondo? La società è sempre meno accogliente, la giustizia una maschera, la solidarietà un’elemosina, la dignità dell’uomo un bersaglio, la politica un fascino per attrarre il consenso delle folle, la pace una parola insignificante e sfibrata.

Venga presto il Natale dell’umanità, allora, quando gli uomini riprenderanno il loro posto presso la mangiatoia di Gesù. Venga presto un nuovo Avvento a rinnovare la terra. Terminerà allora il tempo della “quantità” dei beni e vincerà quello della “qualità” della vita, dove l’uomo sarà misurato per la sua dignità e non per la sua capacità di produrre. Finirà il tempo della competizione, della paura e s’instaurerà il tempo della gentilezza, della finezza, della sollecitudine, della mansuetudine, il tempo in cui i bambini seviziati, le donne stuprate, gli emarginati, gli esuli, gli oppressi saranno i primi attorno alla greppia. Raddrizzeremo le strade storte che portano l’umanità alla grotta per ritrovare comprensione verso tutti, per imparare a trattare gli avversari da amici, per asciugare le lacrime degli scartati, per lenire il pianto degli orfani, per tendere una mano ai malati, accarezzare i vecchi, pregare per tutti i morti dei nostri cimiteri.

È un Natale tra trepidazione e speranza. Alle apprensioni per i malati, per i ricoverati nelle terapie intensive e nelle RSA, si aggiungono le insidie del contagio, le insicurezze, i malumori talvolta aspri per i provvedimenti presi dalle autorità a cui occorre ubbidire, come fece Giuseppe che da Nazareth si spostò a Betlemme per conformarsi all’edito dell’imperatore. Coloro che si credono più creditori che debitori verso gli altri seguono la strada più assurda – quella del negazionismo e della spavalderia – e ubbidiscono solo alle indicazioni del loro egoismo.

Anche quest’anno suoneranno le campane della mia chiesa e il buio si schiarirà sotto le stelle: la speranza e la gioia entreranno nei cuori degli uomini che Dio ama. Anche se i bambini continueranno a nascere nei campi rom, negli scantinati, sotto i bombardamenti, i malati a morire, noi faremo il presepio e ci inginocchieremo davanti al Bambino per chiederGli perdono per le nostre colpe compiute contro la giustizia e la verità. L’asinello e il bue manterranno la loro promessa: lo riscalderanno, Giuseppe cullerà il Bimbo mentre Maria si concederà un po’ di riposo, i pastori gli porteranno i loro doni, qualche gallina gli farà accoglienza, ma quel neonato cerca il nostro silenzio per non essere svegliato e le nostre parole per farlo sorridere. La speranza ha gli occhi di quel Bimbo. Perché è Lui la Speranza. Questo periodo storico, che si dispiega tra emergenza e provvisorietà, ci sollecita a ridare vita alla Speranza. Se non avessimo questa certezza, profaneremmo il Vangelo.

Così sarà il Natale d quest’anno: il “progressismo”, se sarà baratto o accorciamento della Verità, diverrà solo sterile indignazione, ma se sarà ricerca dell’altro per donargli amore, Colui che non ha avuto paura di farsi uno come noi ci donerà la gioia di sentirci salvati. E realizzeremo le parole che Etty Hillesum scrisse nei giorni della Shoah: “L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirTi dai cuori devastati degli uomini”.

Buon Natale, dunque, tra la dinamica del provvisorio e la speranza!

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