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Cultura

DE AMERICA

RENATA BALLERIO - 15/01/2021

pioveneI luoghi di incontro nella città, gallerie d’arte, biblioteche, musei sono luoghi di incontro, ma non di vera società.

La frase può sembrare strana in questi mesi in cui tutti siamo stati privati dagli spazi e dalle occasioni di incontri. Ma può suonare ancora più strana se pensiamo che è tratta da un libro pubblicato il 31 dicembre del 1952, precisamente il De America di Guido Piovene. Si tratta di più di cento articoli che Piovene scrisse per il Corriere della Sera, quando, tra l’autunno del 1951 e quello dell’anno seguente, compì un viaggio di oltre venti mila miglia, quasi sedicimila chilometri negli Stati Uniti d’America. Fece quel viaggio in macchina, guidata dalla moglie perché lui era senza patente. Sono osservazioni e riflessioni, certamente datate, ma interessanti proprio per la loro apparente inattualità.

Libro godibilissimo per la scrittura, stimolante per la conoscenza di un paese, o meglio del mosaico dei tanti paesi che sono gli Usa e, soprattutto, rappresenta un tentativo di ricercare la vera società. Operazione titanica settant’anni fa e ancora di più oggi. E non solo per la drammaticità della situazione. Certamente leggere le pagine di questo particolarissimo diario di viaggio di un reporter speciale come fu Piovene non dà risposte per capire come sia diventata fragile, malata, la democrazia americana e come gli americani si siano lasciati fomentare dal 45° Presidente, il facoltoso imprenditore Trump. Però ci ricorda – come si legge nella premessa del libro – che “la conoscenza di un paese è come la visione in un cannocchiale, che si aggiusta guardando, finché la si mette a fuoco”. Affermazione – a pensarci bene – solo apparentemente lapalissiana. Conoscere è più difficile che usare un cannocchiale. O meglio tutto dipende da che cosa e da come vogliamo conoscere.

Basti pensare a come Cesare Pavese, amante della letteratura americana, preferì non conoscere direttamente gli USA, mentre Mario Soldati volle entrare in contatto con la libertà americana. Due esempi lontani, che testimoniano approcci diversi.

Forse poco legittimi oggi. E Piovene l’aveva intuito. Ad esempio, parlando della California scrisse che lì vi era “una trincea al credo americano della piena libertà in affari”. Insomma un modo ben diverso per leggere, anche nei lontanissimi anni Cinquanta, la libertà americana spesso mitizzata. E sempre Piovene nelle sue pagine ricordava che il viaggiatore avrebbe trovato (in America) sempre alcunché di incompleto. Avvertimento non da poco scritto da un giornalista culturale. Lo scrittore definiva con falsa modestia le sue osservazioni caratterizzate, quasi limitate, da un approccio storico – umanistico. Per noi, che forse ci stiamo accorgendo di quanto abbiamo perso utilizzando poco o malamente questo metodo, leggere il De America è quasi salutare. Certo non si può chiedere a Piovene quello che non avrebbe potuto dare, come un’analisi politica dei limiti della politica del democratico Truman, ma si possono ricevere tanti input che valgono anche per il presente.

Basti un esempio. L’America- scrive- è un paese confuso, senza una guida né una direzione precisa: la sua direzione è segnata da necessità storiche che si impongono a volontà buie. È percorso da ondate di isteria, che possono generare paure, persecuzioni; conosce l’esaltazione ed il panico. È travagliato da processi morbosi, chiude focolai di infezione; vi si aprono vuoti di solitudine, di infelicità, di noia, pericolosi perché la morale pubblica ed una certa oscurità di coscienza conducano a portarli dentro senza avvedersene. Vi è un fondo di violenza… E questa lunga citazione rischia di portarci lontano, o meglio molto vicino a quanto abbiamo visto di recente.

Il De America è, nonostante la sua inattualità, uno strumento per capire quella complessità chiamata “Stati Uniti d’America “ che il signor Trump ha cercato in un gioco pericoloso di dividere. Gioco senza regole, malgrado il cognome che porta: Trump significa, infatti, briscola.

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