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Attualità

SVOLTA

EDOARDO ZIN - 22/01/2021

bidenJoe Biden è il 46° presidente degli Stati Uniti d’America. Spetterà a lui condurre il Paese verso la conciliazione interna e dare un messaggio a tutto il mondo che la società americana, profondamente divisa e polarizzata dopo che il suo predecessore le aveva impresso una profonda frattura che ha minacciato la sua integrità, saprà ricompattarsi e affrontare le sfide che l’attendono al suo interno e le aspettative che le democrazie occidentali pongono in lui.

Lo sfregio arrecato, sotto gli occhi di tutto il mondo, al cuore della democrazia americana contiene un messaggio assai inquietante per le democrazie di tutto il mondo, tanto più che la “desacralizzazione” compiuta dall’irruzione armata nei palazzi del Congresso e aizzata dall’azione “dolosa” dello stesso presidente, riflette un crollo di certezze verso la democrazia, al punto tale che la violenza, quella del coltello, ha avuto un certo fascino non solo presso le classi incolte. Tutta la presidenza di Trump non ha avuto alcuna visione di fondo: solo l’impulso a fare l’egoistico interesse del suo paese, interpretato tra l’altro secondo criteri assai discutibili. Neanche la pandemia ha sbarrato il suo delirio di onnipotenza, giunta al punto da negare il progresso della scienza.

Vorrei ricercare le cause che hanno condotto questa democrazia liberale, che sembrava solida ed era d’esempio per molti paesi, a cadere nell’insicurezza del suo sistema. Queste cause, non esaustive, sono latenti anche nel nostro paese e in Europa e su di esse dovremmo fare un severo esame. Esse sono d’ordine culturale, politico, sociale ed economico.

Già John Dewey, nel suo “Etica della democrazia”, proponeva la distinzione tra la democrazia quale semplice “tecnica” di elezione periodica dei leader e la democrazia quale “forma di vita”. Lo stato democratico di per sé non può generare le risorse culturali di cui ha bisogno per motivare i cittadini. Solo le persone possono assumere la democrazia come parte della loro vita.

Il declino di una democrazia incomincia dalla prerogativa della sua politica dell’istruzione e dell’educazione. Ho avuto modo di conoscere la scuola americana attraverso l’insegnamento ad allievi provenienti da diverse scuole americane e ho potuto notare che questi allievi possedevano informazioni superficiali dovuti ad una programmazione didattica volta solo a trasmettere conoscenze, ma non a sviluppare capacità critiche che portano a pensare con la propria testa e all’idoneità di saper scegliere al momento del voto. Il pensiero è stato banalizzato e sostituito dalla creatività, sommo esempio della cultura americana contemporanea.

Anche l’attuale situazione scolastica italiana ci dimostra questa deriva della scuola: cosa ci si poteva aspettare dal ricambio generazionale della nostra classe politica avvenuto negli anni a cavallo del nuovo secolo quando, a una classe politica formata da un sistema educativo di qualità, ammirato anche all’estero, selezionata dalle università del post ’62 o del post ’68 e successivamente ancor più vagliato dai corpi intermedi? La crisi dei partiti, i sistemi elettorali che di fatto eleggono rappresentanti nominati e non eletti hanno portato ad una democrazia fragile perché i cittadini sono “ignoranti istruiti” il cui pensiero critico si è deteriorato.

In democrazia la mancanza di “leader” competenti e incorrotti porta all’esaltazione di figure sciamaniche come quelle viste allo schermo televisivo, mentre abbattevano i simboli dell’identità di un popolo. Questi personaggi rispondono agli istinti con emozioni, con slogan, con grida. Essi seducono le folle e coltivano odio contro il diverso o per razza o per colore della pelle o per stato sociale. La chiave dell’affermazione di Trump va trovata nelle sue capacità affabulatorie. È stato uno straordinario “tribuno”, capace di cogliere i sommovimenti che scuotono la società italiana. Tutto ciò a noi italiani chi richiama?

Il liberalismo senza scrupoli di Trump ha lanciato come un mantra l’invito a consumare prodotti made in USA imponendo dazi sulle importazioni (America first!), estendendo l’individualismo, dilatando la cultura del profitto personale, a scapito della solidarietà, separandola da ogni diritto – dovere alla partecipazione e smantellando in tal modo lo stato sociale abbozzato dal suo predecessore Obama. Si è fatta largo la cultura dello “avere” separata da ogni dovere del “dare”, del contribuire, del partecipare. Ci ricordiamo noi italiani, cittadini vinti nella Seconda guerra mondiale, della solidarietà americana, paese vincitore, espressa con il “piano Marshall”? Essa è sparita. Nel pieno di una pandemia, che il presidente in un primo momento aveva negato e successivamente rimpicciolito nelle sue conseguenze, sono aumentate le disuguaglianze sociali e il numero degli indigenti si è altrettanto incrementato. Questa politica economica non ricorda a noi italiani il “Prima gli italiani”?

Trump è riuscito perfino a dividere le chiese e l’episcopato cattolico. Si è servito della religione, recandosi a rendere omaggio alla chiesa dedicata a San Giovanni Paolo II° al fine di attirare a sé i voti dei cattolici “conservatori”, quelli dei settori più ossessionati dalla presenza di un cristianesimo fedele al Vangelo al servizio di tutti, ma soprattutto degli scartati. Questa azione ci ricorda un politico italiano?

Il suo successore Biden dovrà tentare la difficile conciliazione tra le istanze più avanzate del progressismo democratico e le ansie e i timori profondi dell’elettorato che ha votato per Trump, affrontare la sfida del Covid-19, andare incontro alle attese dei ceti più deboli, invertire la rotta nella lotta contro il degrado ambientale, rivitalizzare l’apparato produttivo e modernizzare le fatiscenti infrastrutture. Non sarà un compito facile perché il trumpismo resterà entro e fuori delle frontiere.

L’immagine degli Stati Uniti nel mondo si è incrinata nel mondo. L’Europa, mentre si spera porti a termine la revisione delle politiche strutturali al fine di accrescere una maggiore coesione, auspica un maggiore rasserenamento dei rapporti transatlantici e una collaborazione sui confronti della pandemia, del clima, delle disuguaglianze sociali, dei commerci internazionali, della non-proliferazione e della sicurezza. Una sinergia Europa -Stati Uniti è realisticamente possibile.

Forse una nuova luce sta per illuminare il pianeta. Con Biden si parla di “svolta storica” e il sollievo europeo è unanime e conclamato. Alle congratulazioni e agli auspici rivoltigli da tutti i governi (un po’ tiepido quello del nostro governo!), aggiungiamo quelli di tutti coloro che non vogliono far correre alle loro nazioni il rischio dell’impreparazione, la superficialità, l’incoscienza di una classe dirigente non democratica.

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