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Cultura

IL SERMONISTA

LIVIO GHIRINGHELLI - 22/01/2021

eckhartNato verso il 1260 a Hochheim in Turingia, Johannes Eckhart, entrato come novizio nel convento domenicano di Erfurt, trascorse nell’Ordine tutta la sua vita, distinguendosi per le cariche interne e come magister sacrae theologiae a Parigi (1302, 1311-1313), dopo esservi stato lector sententiarum (commentatore del Libro delle sentenze di Pietro Lombardo, 1293-1294) e docente nello studium generale di Colonia. Qui nel 1326 gli è intentato dall’Arcivescovo Enrico di Virneburg un processo per eresia dinanzi all’Inquisizione, causa l’imputazione di una dottrina simile a quella dei begardi, o della setta del Libero spirito, che negava l’autorità ecclesiastica e il valore dei sacramenti. Il 24 gennaio 1327 Eckhart protesta, appellandosi al Papa e il 13 febbraio proclama solennemente la propria ortodossia. Il 27 marzo 1329 Papa Giovanni XXII promulga in Avignone la bolla In agro dominico, condannando 28 proposizioni tratte dalle opere di Eckhart, peraltro già defunto (1327-1328).

Eckhart è autore di scritti in latino per l’insegnamento universitario (in edizione critica dal 1936) e di Deutsche Werke, finora usciti in tre volumi con 86 Sermoni e 1 volume con i Trattati a cura di Josef Quint). In italiano si segnalano le opere tedesche a cura di Marco Vannini,Firenze 1982). I Sermoni risultano la parte più vivida e chiara del suo pensiero e della sua esperienza mistica. La lingua volgare, il tedesco, plasmato da Eckhart, risponde pienamente alle esigenze della materia spirituale trattata e ha una considerevole importanza nel quadro di sviluppo della lingua germanica.

Il suo insegnamento è incentrato sulla teoria del distacco (Abgeschiedenheit, Gelassenheit), operazione prima ancora razionale, che morale: indica la capacità di essere liberi, indipendenti dai contenuti e dalle cose, la capacità di padroneggiare l’identico e il diverso, il sì e il no, i due versanti della contraddizione. elevando allo spirito. “Si è nello spirito, si è spirito, in quanto si è ragione” (la vita intellettuale è vita dello spirito). E il distacco si verifica soprattutto dall’io psicologico; così, come per Plotino, si può giungere al fondo dell’anima, fondo da non intendere in senso ontologico. Questo fondo è il luogo di nascita di Dio nell’uomo. È la rottura del rapporto di sostanza, la penetrazione in Dio e di Dio in noi fuori dall’oggettivismo. Il numero e la molteplicità sono tolti dall’attività della ragione. Dio penetra nell’uomo, distruggendolo in quanto soggetto, sostanzialità. Nella solitudine, nell’unità di se stesso è lo sgorgare di Dio in Dio. Fine dell’alterità. La fine della soggettività psicologica è il manifestarsi dello spirito. Lo spirito è sempre presente nel distacco, è il distacco stesso ed Eckhart chiama Dio distacco supremo. Il Figlio nasce nell’anima, diventa la Parola stessa. L’alienazione termina nell’esperienza della ablatio alteritatis (il concetto di alienazione, il verbo apallatrioo, è in San Paolo, Ef 2,12: “Eravate in quel tempo senza Cristo, esclusi dal diritto di cittadinanza di Israele, stranieri all’alleanza promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo; 4,18: ottenebrati come sono nell’intelletto, estranei alla vita di Dio, a causa della loro ignoranza e dell’indurimento del loro cuore; Col 1,21: “E voi che un tempo con le opere malvagie eravate stranieri e ostili per il modo di pensare”. Si tratta della condizione dell’uomo smarrito nello psicologico, nel turbine dei contenuti. Lutero traduce il paolino exinanire se ipsum di Fil2,7 (“ma annichilì se stesso – prendendo natura di servo- diventando simile agli uomini …facendosi obbediente fino alla morte – e alla morte in croce “) con sich selbst aüssern.

Finito l’io psicologico si coglie la presenza in noi di qualcosa di infinitamente più reale e concreto (non nostro nel senso di personale opposto all’altrui). San Paolo, Gal 2,20: “ vivo, però non più io, ma vive in me Cristo”. Ma dialetticamente coesistono alterità e non alterità di Dio nello spirito, il distacco è essenzialmente amore, volontà di bene assoluto. Soltanto il Tu assoluto risponde e corrisponde all’amore assoluto che l’anima è: nel vuoto dell’assoluto distacco Dio non può fare a meno di scendere. Tutta l’esistenza è trasfigurata. Dio non è un Dio pensato, che va e viene con l’andarsene e venire del pensiero, ma la continua presenza e realtà dello spirito al fondo di noi stessi.

L’uomo dimentica se stesso per amore della giustizia, dell’assoluta impersonale verità. Questa esigenza distrugge tutti i contenuti finiti ed elimina l’opposizione dei contrari. Iustus in ipsa iustitia iam non est genitus, nec genita iustitia, sed est ipsa iustitia ingenita. Nella giustizia e per la giustizia l’uomo abbandona se stesso e si riconosce in Cristo, nella morte per gli altri. L’atto che conduce i contenuti alla finitezza, il negativo, ci fa liberi e signori di essi ; la presenza del negativo all’interno di ogni determinazione assicura la verità della parola; il travolgimento di ogni contenuto e determinazione diventa traboccante energia, nichilismo; viene negata la trascendenza come alienazione, il rimandare ad altro. Anche il contenuto religioso può essere fornicazione, se a Dio si aggiunge qualche attributo, il perché. Oltre ogni contenuto, oltre Dio con i suoi modi si perviene all’Unità, al deserto silenzioso della nuda Divinità. La ragione, non finalizzata ad altro, fatta mera volontà di infinito, si trova in patria nell’abisso del nulla. È la scoperta dell’Abgrund, di un fondamento senza fondo. “Un uomo giusto non ha bisogno di Dio, non ha bisogno di quello che possiede”.(Sermone Gott hat die Armen).

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