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Attualità

A SCUOLA CON MARTA

ROSALBA FERRERO - 19/02/2021

come in terza media

come in terza media

Nel corso dell’anno scolastico 1976-1977 insegnavo italiano, latino, storia, geografia nel corso C della scuola media Anna Frank di Varese. L’istituto era allora ubicato a Giubiano nella ‘Villa Augusta’ che prendeva il nome dall’ultima proprietaria Augusta Testoni, che ne aveva progettato e curato lo splendido giardino. La mia classe, una trentina di ragazzi, si assottigliava per quattro ore la settimana quando restavano con me solo undici allievi, quelli che, avendo deciso di iscriversi successivamente ai licei, intendevano seguire il corso di latino: il legislatore aveva infatti concesso che in terza media si potesse scegliere se seguire un corso di latino o il corso di applicazioni tecniche, dopo i risultati disastrosi della riforma scolastica. Imponendo la media unificata anche a quanti non intendevano proseguire gli studi superiori ai licei o alle magistrali, li aveva condannati a ripetute bocciature, poiché molti del latino proprio non sapevano cosa farsene.

Ovvio che chi aveva operato la scelta del latino studiasse diligentemente per prepararsi all’ingresso nelle scuole superiori ed io ero ben contenta di avere una classe poco numerosa ed efficiente. Le lezioni terminavano il 29 giugno, gli scrutini erano già stati fatti, ma tutti i ragazzi continuavano a frequentare la scuola facendo lezione: niente feste gavettoni recite. L’ultima mattina in una splendida piccola aula che si affacciava al terzo piano di villa Augusta su un parco fiorito di peonie, terminati tutti i ripassi e le preparazioni immaginabili e possibili, proposi di scrivere liberamente un giudizio sul ‘rapporto docente-discente’ che ci aveva legati durante l’anno: l’idea mi era stata offerta dagli studi fatti sulla didattica dei Campus e che reputavo una stimolante verifica sul mio operato.

Tutti scrissero le proprie opinioni. Anche Marta Cartabia, una ragazzina brillante, fisico magrolino, volto affilato, occhiali e capelli corti castani con la riga di lato. Mi consegnò il suo lavoro che mi mise in uno stato di ‘crisi’ e successivamente di ‘revisione’ del mio modus operandi. Erano poche le righe scritte da un’allieva seria, studiosa, dotata di capacità critiche, ultimo banco vicino alla finestra. Scriveva: “…mi ha interessato molto con le sue lezioni, in particolare quelle di storia, ma lei, prof, parlava spesso in modo difficile, usava concetti che non comprendevo e termini a me sconosciuti che dovevo cercare sul dizionario’.

Quanto scritto si è stampato nella mia mente. Nessuno, men che mai l’Università mi aveva ‘insegnato ad insegnare’, operazione tra le più difficili al mondo. E io, fresca di laurea, non avendo avuto fratelli o cugini o amici più giovani di me, avevo solamente pensato a trasmettere ai miei alunni la mia inesauribile sete di conoscere, invogliandoli a studiare, ad approfondire, ad aprire il ventaglio della mente che si dilata sino ai vent’anni per poi stabilizzarsi prima di cominciare a richiudersi. Ma non avevo riflettuto sulla necessità di adeguare il mio registro linguistico all’uditorio che avevo dinnanzi, magari non pervaso dall’amore per lo studio. Una bella lezione offertami da una ragazzina che aveva la metà dei miei anni.
L’anno seguente, ogni volta che, durante una spiegazione, coglievo un attimo di smarrimento negli occhi di un paio di allievi che avevo destinato al ruolo di ‘sentinella’, mi bloccavo e chiarivo il termine e talora, prima ancora di profferire il vocabolo perfetto per me ma incomprensibile per l’uditorio, mi fermavo a sceglierne uno più consono all’età dei ragazzini che avevo di fronte.

La lezione di Marta mi è servita e credo siano servite anche a lei le mie lezioni ‘difficili’ che non l’hanno scoraggiata ma stimolata a cercare, a risolvere i problemi.
E risolvere problemi è quanto le è richiesto, ora che è diventata ministro della Giustizia.

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