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Artemixia

MAESTRO D’UMANITÀ

LUISA NEGRI - 26/02/2021

il maestro Francesco Morini, a destra, con Mario Lodi

il maestro Francesco Morini, a destra, con Mario Lodi

Il personaggio era di quelli che incuriosiscono al solo vederli. Perché hanno qualcosa in più che li contraddistingue. L’aspetto mite e ironico insieme, un po’ sornione, un modo di vestire ottocentesco, il papillon in bella evidenza, il cappotto dal bavero largo, importante, non lo facevano passare inosservato.

E la curiosità del suo prossimo, al quale si rivolgeva con arguzia e umanità, desideroso di farne la conoscenza, ne rendeva gradito l’incontro. Capitava spesso di trovarlo, acquattato come un felino domestico tra i cuscini dei divani, nel negozio di moda in Corso Roma, poi Corso Moro. Un’elegante boutique, come si direbbe ora, tra le più raffinate nella Varese degli anni Settanta. Apparteneva alla moglie, Alba De Bortoli, che aveva cominciato come modista per signore e poi s’era allargata agli abiti e alla biancheria elegante, che portava lei stessa dalle sfilate fiorentine o dalle passerelle di moda romane. Spesso qualche vaporoso capo estivo proveniva anche da Ischia, da anni privilegiato luogo di vacanza dell’affiatata coppia. Non era raro che il nostro indugiasse a far quattro chiacchiere con le ospiti della moglie, prima che a metà pomeriggio s’iniziasse, nell’elegante camerino dalle pareti specchiate, il rito delle prove degli abiti arrivati freschi di stagione. L’impressione delle signore era che in fondo il maestro, come lo chiamavano tutti, fosse anche un po’ timido: e nascondesse, dietro la celia, l’imbarazzo dell’essere lì. In un luogo inadatto, a chi con la moda non c’entrava per niente. Non si sottraeva comunque, da buongustaio, a consigliar ricette di cucina, ottimi i suoi ossi buchi, o a raccontare innocenti quanto argute storielle. Lo faceva per amore della consorte, che a sua volta teneva al lavoro di lui- del quale non smetteva mai di tessere gli elogi alle clienti- più ancora di quanto tenesse al proprio. Il marito in realtà – il Cecco, come lo chiamava lei – era un artista. Non di quelli fasulli, ma un artista vero. Un Maestro, un compositore di melodrammi andati in scena sui palchi dei migliori teatri italiani. Un raffinato musicista che però, per non aver cercato di spingere, aveva ottenuto molto meno di quanto gli sarebbe toccato in termini di notorietà. E soddisfazioni.

Era Francesco Morini, nato il 26 febbraio del 1910.

A rendere i due coniugi complici e affiatati aveva contribuito anche il grande dolore per la perdita dell’unico figlio, Roberto, un bel ragazzo morto giovane, a causa di un incidente d’auto, mentre prestava servizio militare. I due si erano quindi stretti e dedicati più che mai l’uno all’altra. E lei aveva fatto dell’affermazione del marito un punto d’onore per se stessa.

Le carte giuste, in realtà, non gli sarebbero mancate, perché l’uomo era di quelli fatti di buon legno, di anima grande e sensibile, di intuito e passione, di intelligenza vera. Una passione che lo aveva portato anche all’impegno politico, quando la sopraffazione dei prepotenti s’era abbattuta come una scure sulla limpida visione di libertà di molti idealisti. Il maestro, allora ancor giovane, appena, diciassettenne, era stato punito, addirittura confinato a Lipari dall’occhiuto partito fascista. Già in quel periodo, seguendo l’esempio paterno, aveva cominciato a maturare il suo amor di patria e libertà. A onor del vero un suo lavoro, pieno di entusiasmo patriottico risorgimentale, I Bandiera, sarebbe stato poi in seguito rappresentato e sostenuto dalle autorità varesine nel 1932. Ma la sua recidiva opposizione al regime e i contatti da lui mantenuti con l’antifascismo gli costeranno in seguito anni di controlli. Dopo il ’43, un impegno crescente gli sarà richiesto nelle schiere partigiane. Corrispose e si distinse anche qui per coraggio e insieme lealtà, umanità, e rispetto di tutti, come gli fu pubblicamente attestato dal CLN.

Era innamorato dei grandi dell’opera italiana, soprattutto di Puccini. E a lui si ispirava la dolcissima musica di alcuni melodrammi che ebbero rappresentazione, con grande gioia della consorte, al San Carlo di Napoli e al Teatro Politeama Greco di Lecce, dove si tenne anche la prima assoluta nel 1978 di Ifigenia (in Tauride), diretta dal maestro di fama internazionale Tristano Illersberg.

Fu anche per quel suo merito che nel ’79 gli fu conferita a Varese la Girometta d’oro dalla Famiglia Bosina.

Era già stato però anche al Petruzzelli di Bari. E al Verdi di Firenze, dove nel ‘47 si era rappresentata la prima assoluta di La Vindice, opera poi replicata nel ‘48 al teatro Foschini di Pavia, interprete il noto tenore Piero Sardelli. A Varese negli anni Settanta si videro poi in scena un suo lavoro, al Palazzetto dello Sport, e alcune altre rappresentazioni, seppur non con la continuità e la cornice desiderata. IL maestro avrebbe certo meritato un ricordo più riconoscente e prolungato nel tempo. Ebbe però una medaglia in oro da Paolo VI per i suoi componimenti religiosi (Ave Maria,Tu sei Pietro,’77 Inno a Dio,’62).

Forse la sua opera, chissà, potrebbe tornare qui, se avremo, nel vecchio edificio Politeama risanato, un teatro foriero di buone novità.

Una di queste potrebbe essere proprio la riproposizione del lavoro di un uomo perbene, di un musicista capace e ammirato. Come Morini era stato, da giovanissimo compositore esordiente, in quel Teatro Sociale rinomato soprattutto per il melodramma.

Il Sociale, un piccolo gioiello, fu però tirato giù nel ’53 dalle spietate picconate dell’allora amministrazione cittadina di Varese.

E questo lo sapeva bene- perché ne aveva patito molto- anche Francesco Morini. L’artista che non s’era mai dato arie d’essere un maestro.

Si spense a Varese nel 1984, Alba lo raggiunse quattro anni dopo.

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