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Apologie Paradossali

REALISTIC PLAN

COSTANTE PORTATADINO - 26/03/2021

crisiOnirio ha concluso l’Apologia di settimana scorsa in questo modo: “occorre far crescere la fiducia, reciprocamente, tra governanti e governati. Altrimenti la nostra resterà una democrazia vociferante, ma non decidente”. Far crescere la fiducia? Ipotesi condivisibile, ma per nulla facile a realizzarsi. Un segno incontestabile di mancanza di fiducia è l’ennesimo documentato allarme sulla crisi delle nascite in Italia, lo lancia ancora l’ISTAT.

L’Istat ha reso noto che 15 grandi città italiane, per le quali i dati anagrafici sono completi e attendibili, hanno fatto registrare un calo di oltre l’8% delle nascite nel novembre 2020 rispetto all’anno prima e quasi del 22% nel dicembre 2020. Teniamo presente che la media degli ultimi anni è intorno al 3%, calo da considerare “strutturalmente” normale dato che le nascite in calo negli ultimi anni in Italia sono una tendenza consolidata che non dipende tanto e solo dalla propensione bassissima a fare figli ma dalla conseguenze di una vera e propria “trappola demografica”: la bassa fecondità dei decenni passati ha prodotto un numero calante di nati che – a distanza di una generazione – si è tradotto in un numero calante di potenziale genitori, che continuano a fare pochi figli in media, e quindi pochi figli in totale.

Qualche spunto di ulteriore e ‘speciale’ riflessione lo offre una indagine su Milano, una realtà che per la sua vicinanza e dimensione condiziona molto anche Varese e la provincia.

“Il dato più macroscopico riguarda le famiglie unipersonali, ossia le persone che vivono sole. Nel giro di un ventennio sono aumentate di oltre 105mila unità. Erano 309.216 nel 2000, sono diventate 414.342 nel 2020. Alcuni dati. La zona con la più alta percentuale di famiglie unipersonali è Loreto con il 64,37 per cento (un aumento di 11 punti rispetto al 2000). Subito dopo c’è l’area della Centrale con il 63,53, con una anche maggiore, più 13 per cento. Seguono Ticinese (62,15) e Navigli (62,13). «Essenzialmente questa crescita negli anni è dovuta a più fattori — osserva il politologo Rosina —. È aumentato il numero delle persone che escono dalla famiglia e vivono da soli, sia per studio sia per lavoro. Prima si usciva dalla famiglia per formarne un’altra, adesso la creazione di un nuovo nucleo si è spostato più in avanti nel tempo, sia per motivi di studio sia professionali. Altro fattore è l’instabilità coniugale in continua crescita che porta, almeno per una fase, a vivere in autonomia. (Corriere 22.3)”

Chi vive da solo non fa figli! Quindi nemmeno Milano, che fino a prima dell’effetto-covid attirava popolazione attiva, tanto che Sala aveva voluto festeggiare il residente 1.400.000, è al sicuro dal calo demografico, infatti il 2020 ha riportato indietro la lancetta al 2018 (1 milione e 392.502). Se Milano non ride più, il resto dell’Italia sicuramente piange.

Prima ancora di suggerire qualche rimedio, magari un po’ meno ovvio di quelli proposti finora, è necessario un avvertimento importante: stante la stretta connessione tra popolazione e PIL, la diminuzione della popolazione porta inevitabilmente ad una diminuzione del PIL, proprio mentre il contemporaneo invecchiamento porta all’aumento di prestazioni sociali di tipo pensionistico e assistenziale a carico dell’erario, quindi in aumento della spesa e del debito pubblico. Tutto questo proprio quando la situazione delle finanze italiane, già pessima, è messa sotto ulteriore tensione dal finanziamento a debito degli attuali necessari interventi di ristoro e d’incentivo.

Dunque come si fa a far crescere contemporaneamente economia e popolazione, se non attraverso una sostanziale crescita di fiducia?

La risposta a questa domanda me la dà una persona, che posso anche definire ‘amico’, visto che da anni mi fornisce servizi di modesto livello, pulizie, piccole manutenzioni, cose simili. Immigrato dal Medio Oriente più di vent’anni fa, ha fondato una piccola impresa, dà lavoro ad alcuni connazionali, si è integrato al punto che ha potuto allevare diversi figli e mandarli all’università. Ha cioè realizzato per la propria famiglia quel ascensore sociale che tanti italiani hanno realizzato dal dopoguerra agli anni ottanta e che oggi appare sempre più difficile, così da scoraggiare materialmente e moralmente l’impegno e il sacrificio necessari per realizzare questo fine.

Si tratta quindi d’incoraggiare una ricostruzione morale, dando certezze, mediante provvedimenti di largo respiro e di lunga durata, che si distinguano bene da quelli di emergenza, pure necessari, e dalle troppo frequenti ‘mancette’ preelettorali. Questa è la grande occasione e la sfida non facile proposta da ciò che chiamiamo abitualmente Recovery Plan e che la UE invece definisce più appropriatamente Next Generation. La prossima generazione, vuol dire l’Unione Europea, è la risorsa che deve essere attivata, grazie ad un investimento straordinario, per poter dare un futuro all’Europa intera.

Ma bisogna che la prossima generazione sia generata!

Le risorse pubbliche destinate alle famiglie e quelle private da loro attivate,  se coerentemente indirizzate rispetto ad un piano di sviluppo globale, possono quindi trasformarsi da spesa improduttiva ad investimento, alla condizione indispensabile che sia accompagnata da una parallela crescita della produzione di beni, per il consumo interno e per l’esportazione, sia come quantità, sia come valore aggiunto.

Questo ragionamento certifica la necessità della fiducia del cittadino e dell’imprenditore nel sistema, cioè principalmente nello Stato in particolare nelle sue istituzioni rappresentative, dalle quali sole può venire anche la riforma della struttura esecutiva e burocratica.

Se lo Stato non riesce a dimostrare di meritare la fiducia dei cittadini proprio in questa drammatica circostanza, continueremo a dare le colpe agli altri, all’Europa, alla burocrazia, all’America o alla Cina, alla finanza internazionale o ai sindacati nostrani, al governo nuovo o al governo vecchio, alle leggi vecchie e alla magistratura politicizzata, ai partiti che non sono più quelli di una volta, ai giornalisti e ai social media. Nella caccia alle responsabilità s’innesca il meccanismo dello scaricabarile e non si conclude nulla. Tutti hanno certamente le loro responsabilità, perciò un nuovo impegno, direi un nuovo stile di pensiero e di vita deve venire da ciascuno. La mia proposta, che può apparire paradossale nel momento in cui l’unica cosa importante sembra la salute e subito dopo il risarcimento dei danni subiti a causa della pandemia, è rendere prioritaria una riforma istituzionale che, come suggeriva Onirio, ci riporti ad essere una democrazia decidente, non vociferante.

Ma come?

Impossibile dire come, in poche righe. Cominciamo con il dire che cosa. Decidere vuol dire governare, ma vuol dire anche che la sovranità popolare si esprima in un Parlamento capace di creare le leggi nell’interesse dei cittadini e di rispondere ad essi, non principalmente a gruppi di potere, che si chiamino partiti o lobby, ovvero concentrazioni d’interessi.

Questo aprirebbe il discorso sul sistema elettorale, non affrontabile in questa sede, ma è sufficiente affermare la necessità che il rapporto tra elettori ed eletti sia ricostruito in modo efficace e garantito proprio grazie alla ridefinizione della natura dei partiti politici,  anche attraverso la definizione per legge della garanzia di democraticità e di trasparenza della struttura decisionale interna dei partiti, dando finalmente attuazione alla previsione costituzionale  dell’art. 49: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ovviamente, per ‘metodo democratico’ non intendo soltanto una legittimazione formale di cooptazioni e di orientamenti presi dal ‘capo carismatico’ intorno al caminetto o nel cerchio magico, con pochi fedelissimi. Tradotto in termini pratici: tornare a quell’idea costituzionale, subito scartata per l’opposizione del Partito Comunista, di definire per legge la natura giuridica e le regole di gestione democratica interna dei partiti. Forse non è troppo tardi per evitarne la deriva a lobby economica per alcuni e a megafoni del risentimento delle masse per tutti gli altri.

 In correlazione a questo fondamentale intervento, una ulteriore necessaria applicazione del metodo democratico deve essere rivolta a garantire al cittadino la possibilità di votare, in ogni livello politico, in contemporanea al partito il singolo rappresentante.

In sostanza, ove non sia proposta l’elezione uninominale, deve essere garantita all’elettore la possibilità di esprimere la preferenza anche alla persona, escludendo il confezionamento di  liste predeterminate dai partiti.

Aggiungo un’altra considerazione, che sarà sicuramente giudicata inattuale dai più, perché uno dei messaggi ‘forti’, correlati alla gestione della pandemia, è la necessità del ‘comandante’. La mia proposta è sì l’eliminazione della sovrapposizione di competenze, specialmente quelle tra Stato e Regioni, ma nella direzione dell’ampliamento dell’autonomia amministrativa e gestionale a tutti i livelli, specialmente a quello comunale. Non sfugge a nessuno che a livello locale la capacità di realizzare progetti di sviluppo è oggi drasticamente limitata dall’indisponibilità di risorse proprie, tanto che qualcosa di eccedente l’ordinaria amministrazione può essere realizzato solo in concomitanza con la concessione di uno stanziamento straordinario e mirato da parte dello Stato o della Regione. Con la conseguenza che qualche volta si realizza un’opera non di prima necessità, solo per non “perdere il finanziamento”.

 La possibilità di ridare utilità e fiducia ai partiti sta proprio nel mostrare che possano essere attivi ed efficaci localmente, come e più delle improvvisate aggregazioni, spesso anche queste personalistiche, che amano definirsi, per contrasto, ‘civiche’.

Chiedo scusa agli amici Onirio Desti e Sebastiano Conformi per aver voluto rispondere da solo al quesito: “Come ricostruire la fiducia del popolo?”. Chiedo scusa anche ai lettori, se ho dato l’impressione di aver connesso in una sola riflessione, con un’acrobazia retorica, due elementi apparentemente lontanissimi, come la crisi demografica e la diffidenza politica . È stata l’occasione irrinunciabile per riaffermare che valori civili e ordinamento politico, orientamenti personali apparentemente solo privati e impegno pubblico sono strettamente connessi e così devono restare se vogliamo evitare che come fattori decisivi del rapporto tra popolo e istituzioni si affermino sempre più disagio sociale e risentimento, se vogliamo restituire fiducia nel presente e speranza nel futuro alle persone e alle famiglie.

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