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Sport

IL NOME DELLO SCUDETTO

CLAUDIO PIOVANELLI - 02/04/2021

L'allenatore Enrico Garbosi portato in trionfo dai tifosi nel 1961

L’allenatore Enrico Garbosi portato in trionfo dai tifosi nel 1961

Sessant’anni orsono, proprio in questi giorni, la Pallacanestro Varese festeggiava il primo alloro della sua lunga e straordinaria collezione vincendo lo scudetto.

Il campionato 1960-61 si concluse il 1° aprile ma in realtà l’Ignis aveva potuto innalzare i calici già una settimana prima, il 26 marzo, espugnando il campo di Cantù (79-84) e rendendo l’ultima partita alla Casa dello Sport di via XXV Aprile, contro la Virtus Idrolitina Bologna, sostanzialmente inutile (fu comunque un successo, 85-76, utile per rinnovare la festa).

Quella squadra era guidata da Rico Garbosi e aveva in Tonino Zorzi, Giovanni Gavagnin, Nane Vianello e Guido Carlo Gatti le sue punte di diamante, senza tuttavia scordare il prezioso apporto di Remo Maggetti, Vinicio Nesti, Renato Padovan, Umberto Borghi, Mario Andreo e Paolo Magistrini, gli altri componenti di quella squadra giustamente entrata nella storia.

Seguiranno altri successi, dapprima un po’ sporadici, a cominciare dal secondo scudetto nel 1964, poi la Coppa Intercontinentale conquistata a Madrid nel gennaio 1966 e la Coppa delle Coppe nel 1967, prima di inaugurare il fantastico, incredibile ciclo avviato con il terzo titolo tricolore, quello del 1969, e concluso con la conquista della Coppa delle Coppe del 1980 (in mezzo altri sei scudetti, cinque Coppe del Campioni con dieci finali consecutive disputate, altre due Coppe Intercontinentali e quattro edizioni della Coppa Italia).

Lo scudetto della Stella, nel 1999, giunse a 21 anni di distanza dal precedente successo tricolore (1978), seguito poi dalla Supercoppa Italiana del 2000; ciò significa che oggi la Pallacanestro Varese sta superando anche quell’interminabile intervallo temporale durato appunto 21 anni.

La Openjobmetis, però, proprio nelle ultime settimane pare avere voluto fortemente rendere omaggio alla sua “ava”, quella meravigliosa Ignis di sessant’anni fa, cercando di uscire da una crisi che l’ha vista a lungo in fondo alla classifica. Per la prima volta in questo campionato pieno di sofferenza (anche da Covid 19, con addirittura 16 contagi nello scorso mese di gennaio!) i biancorossi guidati da Massimo Bulleri hanno vinto tre partite in fila e per la prima volta dopo mesi hanno abbandonato l’ultimo posto in classifica.

Ciò non significa che ogni problema sia risolto: il calendario del campionato è costellato di alti scogli già nell’immediato (doppia trasferta, a Milano e poi a Reggio Emilia, prima del ritorno a Masnago contro Venezia) e, anche se la retrocessione sarà una soltanto e molte sono le squadre coinvolte nella lotta per evitare l’ultima piazza, la Openjobmetis resta fortemente “indiziata”.

La svolta osservata in queste ultime partite rappresenta però un’occasione per meditare sugli errori commessi nella scorsa estate nel mettere insieme il nuovo gruppo. Un nuovo gruppo che aveva in Luis Scola l’elemento caratterizzante e condizionante. Quasi magicamente, si era creata una singolare coincidenza tra i reciproci interessi del quarantenne pivot argentino e della Pallacanestro Varese. La Openjobmetis era in cerca di un pivot dopo l’addio di Cummings; Scola, che aveva ed ha come obiettivo primario della sua ultima stagione agonistica la possibilità di disputare la quinta Olimpiade personale, cercava una collocazione non distante da Milano (dove ha giocato nella scorsa stagione, dove ha avviato solidi vincoli di amicizia con il “clan” argentino dell’Inter e dove con la famiglia si è ambientato a meraviglia) in una squadra che non avesse impegni nelle manifestazioni europee e che quindi non lo spremesse troppo. Quale collocazione meglio di Varese?

Purtroppo le cose non sono andate come si sperava. Se è vero che Scola si è sempre dimostrato un perfetto professionista e anche il suo rendimento (a parte qualche flessione umanamente comprensibile) non ha mai lasciato a desiderare (al punto che è sin dall’inizio il miglior realizzatore del campionato con 19 punti di media a gara), è altrettanto vero che la squadra ha sempre sofferto e si è ritrovata per lungo tempo a boccheggiare solitaria in fondo alla classifica.

È bastato tuttavia correggere un errore di valutazione decisamente vistoso commesso all’inizio di stagione per cambiare volto alla Openjobmetis e vederla rimettersi in carreggiata, con la speranza che questo tardivo ritorno a una “normalità tecnica” possa bastare ora a garantirle la salvezza.

Ma qual è stato l’errore che ha condizionato la stagione della Openjobmetis? Pensare che Luis Scola potesse disputare il campionato da numero 5, cioè da pivot, con un giocatore come Anthony Morse chiaramente ancora acerbo per questi livelli (l’omonimo del grande Bob è alla sua prima stagione in serie A) come unico cambio per il ruolo.

Con l’inserimento di John Egbunu, non un asso ma un ottimo portatore di fisicità e atletismo a centro area, l’intera squadra ne ha beneficiato e il rendimento di quasi tutti i giocatori, a cominciare da Michele Ruzzier, si è elevato con i risultati che tutti abbiamo potuto verificare in queste ultime tre partite vinte contro Sassari, Pesaro e Trento.

Strano che a commettere questo errore siano stati decisamente in molti: il g.m. Andrea Conti con il consigliere tecnico Toto Bulgheroni, i primi a coltivare l’”idea Scola”, poi l’allenatore di allora Attilio Caja, che la avallò, e infine lo stesso giocatore, che avrebbe potuto avanzare (in virtù di carisma e trascorsi) magari non proprio un’esigenza ma un semplice consiglio, visto che da almeno una quindicina d’anni non giocava nel ruolo impostogli a Varese.

La speranza è che ci siano ora tempo e modo per rimediare sul campo, senza dover sperare nella ristrutturazione dei futuri campionati (nelle intenzioni della Lega Basket presieduta dal varesino Umberto Gandini), che cancellerebbe l’unica retrocessione di quest’anno. Ma di ciò si parlerà solo a torneo terminato…

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