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Politica

ITALGÌA

GIANFRANCO FABI - 02/04/2021

Il ministro Speranza

Il ministro Speranza

Non è solo una “Lombargia”, come argutamente ha argomentato il direttore Massimo Lodi sullo scorso numero di RMFonline denunciando una “Waterloo inaspettata e clamorosa” sul fronte sanitario di una Regione che aveva avuto per anni una meritata immagine di eccellenza per l’equilibrio virtuoso tra pubblico e privato. Migliaia di persone infatti fino al 2019 compivano i viaggi della speranza, soprattutto dal Mezzogiorno, per trovare (e nella maggior parte dei casi trovavano) negli ospedali lombardi una cura adeguata alle più complesse malattie.

La pandemia ha messo a nudo problemi, inadeguatezza e limiti di una gestione sanitaria che è stata frenata negli ultimi mesi dalle inefficienze politiche e amministrative mentre ha dato il massimo per la dedizione e la competenza del personale medico e infermieristico.

Ma se in Lombardia ci sono stati molti problemi, una pur parziale scusa può venire da fatto che la gestione della sanità a livello nazionale è stata ancora di più inefficace e deludente. Nella sua prima conferenza stampa, dopo un mese dal suo insediamento, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha esplicitamente ammesso: non abbiamo nessun piano per la sanità e anche se prendessimo i soldi europei non sapremmo come spenderli.

Di fronte ad una affermazione di questo tipo, che non è altro che un esplicito atto di accusa contro chi ha gestito la salute pubblica negli ultimi mesi, un qualsiasi ministro della Sanità dotato di senso politico e di dignità avrebbe dovuto semplicemente dare le dimissioni.

Ma lo sappiamo, il Governo ha dovuto e deve fare i conti con le alchimie partitiche e parlamentari. Draghi è riuscito ad ottenere alcuni ministeri per personalità di alto livello (come Patrizio Bianchi alla Pubblica Istruzione) ma ha dovuto accettare altri ministri solo per mantenere gli equilibri politici: il ministro della Sanità, Roberto Speranza, espresso da Liberi e Uguali, è tra questi. Un ministro che dopo un anno di pandemia non ha predisposto nessun piano per il rinnovo e il consolidamento del sistema sanitario. E che continua nella sua opera di equilibrista tra scienziati, politici, ed esperti tra condivisibili preoccupazioni (è giusto vietare gli assembramenti e gli incontri al chiuso) e divieti assurdi come quello di uscire dal proprio Comune per fare una salutare passeggiata in montagna all’aria aperta.

Perché nell’ultimo anno si è fatto poco o nulla sul fronte del sistema sanitario? Eppure i problemi erano ben noti. Si può ricordare un fatto. Era il 29 giugno del 2020, festa di San Pietro e Paolo. Il Corriere della Sera pubblicava in prima pagina una lettera del segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti.

Erano i giorni in cui lentamente si usciva dal periodo più duro di lockdown, in cui l’epidemia sembrava domata anche se c’era la convinzione che il servizio sanitario era stato sollecitato oltre ogni limite e che quindi sarebbe stato necessario uno sforzo decisivo per essere pronti ad affrontare una temuta seconda ondata.

Di queste preoccupazioni Zingaretti si era fatto interprete con un programma in dieci punti indicando una serie di precisi interventi e di coraggiose riforme che avrebbero dovuto essere finanziate con i fondi europei del Mes.

A nove mesi di distanza i problemi delineati sono ancora tutti aperti. Il Pd, forza di governo, non è riuscito ad ottenere nulla di quanto in maniera estremamente chiara ed esplicita aveva proposto. Dimostrando un ruolo del tutto subalterno rispetto ai 5Stelle e del loro irresponsabile rifiuto dei fondi europei. Zingaretti si è dimesso, ma non perché il suo appello per la sanità è rimasto lettera morta, e Speranza è ancora al suo posto. Con le Regioni che vanno in ordine sparso (“e questo non va bene” ha detto esplicitamente Draghi) e con l’esercito che fortunatamente ha preso in mano la strategia delle vaccinazioni di massa affiancando l’opera di Ospedali e Unità sanitarie.

E così il ministero (e il ministro) della Sanità, che per dettato costituzionale dovrebbe dettare gli interventi in caso di pandemia, invece di costituire una soluzione è diventato esso stesso un problema.

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