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Cultura

GRANDIOSITÀ SPIRITUALE

LIVIO GHIRINGHELLI - 09/04/2021

missaLa Missa solemnis di Beethoven in re maggiore, composta tra il 1819 e il 1823, fa seguito, a dodici anni di distanza, alla Messa op.86 in do maggiore del 1807. Destinata a ottenere il favore del Principe Esterhazy, che aveva registrato una freddissima accoglienza, nonostante l’autocompiacimento dell’autore per quest’opera continuamente amata. Pericolare curioso rispetto all’Eroica: Beethoven fu tentato di dedicarla a Napoleone. Quella Messa risulta agli occhi della critica eclettica, formale e accademica in certe parti, tradizionalista in altre, anche se non vi mancano pagine decisamente ispirate come il Kyrie iniziale d’amabilità liederistica e il Gloria sublime nel “qui tollis peccata mundi”, o quelle del grande sinfonismo degli episodi strumentali.

Altro precedente l’Oratorio Christus am Ölberg (Cristo sul monte degli ulivi) op.85 nelle due versioni del marzo 1803 e dell’estate 1804: Cristo, oppresso dall’angoscia per la passione imminente invoca il Padre, chiedendone pietà. L’opera si articola in recitativi e arie, cori e un terzetto. Prima rappresentazione a Vienna il 5 aprile 1803 in un programma colossale con altre opere dell’autore con stretta notorietà in ambito locale. Momenti più convincenti dell’Oratorio: la drammatica introduzione con i terrificanti appelli dei tromboni e il pulsare sordo dei timpani, il tratteggio vigoroso del Cristo-uomo. Del Gesù troppo umano Beethoven stesso lamentava l’eccessiva drammaticità, onde le modifiche apportate.

La Missa solemnis si accompagna nel tempo agli ultimi grandi capolavori (sonate per pf., Variazioni Diabelli, la Nona). Occasione contingente nel 1818 l’annuncio che il 9 marzo 1820 l’Arciduca Rodolfo, allievo, mecenate e protettore di Beethoven avrebbe celebrato la sua nomina ad Arcivescovo di Olmütz. In precedenza, le ricerche sulle grandi Messe della tradizione, ma al contempo la consapevolezza che “la libertà e il progresso dell’artista sono il nostro vero obiettivo finale” (inconcepibile, dunque, un pedissequo ritorno all’antico). L’opera si presenta comunque con la concatenazione di incisi melodici chiusi in se stessi. Da ricordare il Christe, oscuro e concitato, costruito su un tema bachiano, contrappuntato dalle voci soliste, il Gloria, col suo grido di giubilo, il Credo, in cui si riaffacciano le grandi aperture sinfoniche beethoveniane, con la perfetta chiusura della fuga, per non dire della melodia infinita del Benedictus. In rilievo soprattutto l’assolo del violino nel brano, che dura ben 123 battute.

Presentata per la prima volta a Pietroburgo il 6 aprile 1824 sotto l’egida del Principe Galitzin (dedicatario degli ultimi prodigiosi quartetti) la Missa riapparve il 7 maggio accanto alla Nona. Non trovando posto né in una sala da concerto, né in una chiesa, l’autore era favorevole ad una esecuzione in qualità di oratorio. Rimane che attraverso la Missa solemnis passa tutta la grande musica sacra dell’Ottocento. Si constata che i vari campi giustapposti nell’immenso affresco palesano strutture monumentali nell’ambito dell’ordine prestigioso, in cui le parti, pure possedendo un organismo proprio e individuale, si fondano e legano con il tutto. Certo la Missa non è ricavata formalmente dalla variazione e dallo svolgimento dei nuclei tematici, quanto si compone di una somma di sezioni. La rinuncia coerente agli elementi della elaborazione tematica la rende per certi versi diversa dai caratteri salienti della rimanente produzione beethoveniana.

 

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