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Sport

NON SCORDIAMO I GRANDI CAMPIONI

FERRUCCIO CALEGARI - 28/04/2012

Mario Chicco

È triste, ma nel tempo si appanna il ricordo dei grandi campioni. Pochi mesi fa nell’ambito varesino veniva celebrato il ricordo di Mario De Bortoli, quale ultimo campione del grande “Otto di Fioretti”, ma forse – e anch’io con altri – ci eravamo dimenticati che un grande equipaggio nel corso degli anni potrebbe avere qualche variante e quindi, diciamo, non sempre un “otto” è fatto di soli otto rematori.

Ed è un male generalizzato – senza voler incolpare nessuno – derivato forse dalla superficialità o negligenza con cui in anni lontani si seguivano le evoluzioni dei grandi equipaggi. Addirittura sul finire dell’Ottocento e agli inizi del secolo scorso i timonieri erano considerati il signor nessuno, spesso le memorie storiche, anche ufficiali, ne trascuravano la citazione.

In certi casi poi – e purtroppo anche tramandati dalla storiografia ufficiale dell’ente olimpico – i nomi forse trascritti in fretta nel tempo hanno assunto diversa immagine grafica rispetto l’originale. Naturalmente capita anche a me a volte di partire da una base informativa non esatta ed a mia volta apprezzo i dovuti rilievi che ricevo.

Un illustre collega varesino ha iniziato così il suo ricordo di Mario De Bortoli “Con la scomparsa, lunedì 9 gennaio, di Mario De Bortoli, classe 1926, si è chiusa la luminosa parabola dell’otto della Canottieri Varese che nell’immediato dopo guerra si impose a livello internazionale conquistando la bellezza di due titoli europei consecutivi (Lucerna, 1949 e Idroscalo di Milano, 1950) numerosi titoli italiani e altri importanti trofei”.

In effetti Mario De Bortoli non è stato l’ultimo di quella eletta schiera, perché è di questi giorni la notizia riportata dal Piccolo (ed. Gorizia) della morte di Mario Chicco, che fu nell’otto della Varese campione d’Europa all’Idroscalo di Milano nel 1950, ma anche campione d’Italia.

Non era un varesino doc, anzi faceva parte dell’otto della Timavo di Monfalcone strenuo avversario nelle prove selettive per le Olimpiadi di Londra 1948, tanto che alla fine per dare certezze ed evitare possibili rischi lui ed il suo consocio Elio Demarin furono designati quali riserve. E forse sin dal 1937 si era creato un certo feeling tra Angelo Fioretti, capovoga e allenatore dell’otto della Varese ed i canottieri di Monfalcone.

Mario Chicco, scomparso a ottantanove anni, puntualizza “Il Piccolo”, decise di trasferirsi a Varese e vogare con Fioretti per migliorare le sue qualità di voga, continuando nell’impegno sino ai grandi risultati internazionali, e fu nell’equipaggio che vinse il titolo europeo nel 1950 all’Idroscalo di Milano. Successivamente tornò a Monfalcone. Quindi a tutti gli effetti la conclusione della “parabola dell’otto” si sposta leggermente più in là perché l’ultimo epigono della grande squadra remiera era lui.

E su Mario Chicco riprendo due “chicche”, la prima dalla stessa notizia del giornale goriziano che ricorda “Era un vogatore di talento, dotato di un fisico straordinario e di una potenza rimasta celebre in società. Dicono anche che avrebbe potuto fare di più ed avere un albo d’oro più nutrito, ma che “gaveva una testa mata”. E questa considerazione, forse frutto dell’entusiasmo che allora esprimeva in barca e fuori barca, l’aveva portato a far rischiare grosso ad alcuni dei vogatori azzurri in gara a Henley. Riferisce “Il Canottaggio” del periodo: “Durante lo svolgimento delle semi-finali la riserva Chicco della Timavo, inforcata una bicicletta aveva seguito per un tratto un nostro equipaggio, incoraggiandolo a grande voce con un megafono. Senonché i Giudici Arbitri rilevato il fatto portarono il reclamo al giudizio della F.I.S.A. richiedendo l’allontanamento dell’improvvisato allenatore o la squalifica dell’equipaggio. La diplomazia dei nostri dirigenti ha valso ad eliminare ogni pericolo con il provvisorio allontanamento del vogatore incriminato dopo la necessaria… lavata di capo del troppo entusiasta appassionato”.

Sono alcuni aspetti dello sviluppo del canottaggio varesino, che oggi magari “cede” i propri campioni ad altri sodalizi, mentre allora, sia pure con attenzione ed a piccoli passi si apriva anche alle acquisizioni esterne per dare forza ai propri equipaggi. Certamente, pur procedendo a piccoli passi, il mondo remiero che ha il grande cuore alla Schiranna dava dei segnali, anticipando i tempi in funzione della necessità di realizzare equipaggi di forte personalità e qualità atletica. Magari a taluno potrebbero sembrare modesti dettagli, ma nella realtà è un aspetto dell’attenzione con cui già allora si creavano quei presupposti che oggi ci fanno conoscere alla Schiranna una società remiera dalle grandi doti.

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