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Società

IL BUNKER

FELICE MAGNANI - 16/04/2021

tacLa vita è fatta di scelte. Le proposte possono essere molte, diverse e invitanti. Nella maggior parte dei casi ti affidi a un destino, oppure a qualcuno che ti ha ispirato fiducia da subito, magari a un medico che hai incontrato sul tuo cammino o forse a un amico fidato che, prima di te, ha dovuto affrontare la stessa esperienza. Cerchi di razionalizzare, di capire, di vagliare, di convincerti che, forse, una scelta possa essere meglio di un’altra. Io ho lasciato spazio a un intuito già sperimentato, ho voluto appoggiarmi a chi mi aveva conosciuto prima, un professionista che mi aveva già curato in passato. A volte non è facile prendere delle decisioni, soprattutto quando l’orizzonte è più ampio di quanto si possa immaginare e le possibilità sono davvero interessanti. È in questi momenti che scattano dei meccanismi correlati, in parte, al tipo di esperienza che ti viene proposta, ma anche legati alla sfera emozionale, a una somma di considerazioni che, pur non risolvendo nulla a priori, sono comunque in grado di creare un orientamento alternativo.

Non avrei cambiato l’Ospedale di Circolo di Varese con nessun altro e soprattutto non avrei tradito chi mi aveva preso in consegna con determinazione, rapidità intuitiva e professionalità. Nel momento della verità ho fortemente voluto consegnarmi a quell’ Ospedale e a quella Radioterapia conosciuta per la sua capacità di essere puntuale e attenta anche in regime di pandemia. L’idea di dovermi sottoporre alle applicazioni di radio nella parte più sotterranea, chiamata comunemente bunker, mi metteva addosso un’agitazione mai provata prima. La parola bunker è già di per sé evocatrice di mistero, profondità, abissali silenzi, buio, genera una sorta di pressione e di allontanamento, di ansia e di paura, reazioni ed emozioni del tutto normali per chi si trova all’improvviso nell’occhio del ciclone, con un cancro maligno da demolire e con tutti quegli strascichi di natura emotiva che questo tipo di malattia porta con sé. Mia moglie ha voluto rimanermi vicino fin dal primo approccio, quello con l’oncologo. L’impatto è stato molto positivo. Ho incontrato un medico scrupoloso, umano, preparato, capace di predisporre l’animo del paziente a tutte le novità possibili, con un’eleganza e un garbo d’altri tempi, una persona empatica e propositiva, che mi ha rasserenato. Abbiamo parlato di tutto senza sottintesi, con la pacata fermezza di persone che devono collaborare, sapendo esattamente quali possono essere i rischi e quali i passaggi obbligati per imboccare la via della salvezza. Abbiamo parlato anche dei coniugi Curie, dell’importanza della cultura, soprattutto quando allarga l’orizzonte della conoscenza e aiuta a dare un peso e una forma alle cose e alle persone.

Sono uscito dalla visita molto sicuro, con lo spirito giusto, mi sono reso conto che quello che stavo per intraprendere era un viaggio capace di mettermi alla prova, scuotendo tutte quelle energie che tenevo gelosamente in serbo per la mia vita sportiva. Ora si trattava di metterle in campo, di dimostrare che l’insegnamento vale prima di tutto per noi stessi. Le parole in certi casi non bastano, occorre essere pragmatici, non trascurando mai, neppure per un attimo, di credere nella straordinaria bellezza della vita. Ho capito in quel bunker varesino quanto importante fosse affrontare a viso aperto la malattia, ritrovando il senso di una socialità che si sposa in certi momenti alla poesia, al canto, alla musica, al racconto, all’insegnamento, alla fede, alla certezza che non bisogna mai mollare e che ogni muro che incontriamo è solo un momento di riflessione per una ripartenza. Ciò che conta davvero nella vita è amarla e l’amore non è mai a senso unico, è qualcosa che evolve e si trasforma e che, trasformandosi, fa capire meglio il valore di un bene prezioso che abbiamo avuto in consegna, come gestirlo, come guidarlo, come renderlo socialmente utile anche quando sembra che il mondo ci abbia girato le spalle.

In quel bunker dell’Ospedale di Circolo ho ritrovato quella fonte di luce che inquadra quella parte della natura umana che ha bisogno di essere illuminata per rendere al meglio, per farti capire una volta di più che ogni attimo che ci viene dato in consegna è una preziosità che si aggiunge ad altre per mantenere vivo e attivo il nostro umore, quella passionale fiducia che si trasforma in un interessantissimo motore di ricerca. -1, -2, -3, la salvezza sta in fondo e così l’ascensore scende, ti porta dove ti attende il radio, quella sostanza che hai avuto occasione di studiare a scuola in tempi ormai lontani, quando la fisica e la chimica creavano i primi interessi, i primi timori, le prime perplessità. Mentre scendevo mi ricordavo di un’intervista che mi aveva fatto Rosario Carello a santa Caterina del Sasso, per la trasmissione televisiva A Sua Immagine. Alla domanda perché scendevo all’Eremo, ho risposto: “Scendere significa tornare alle radici, per ritrovare quello che si dimentica o si perde durante il corso della vita, si scende per poi risalire molto più forti di prima, con uno spirito nuovo, capace di affrontare tutto quello che la vita riserva”. L’impatto con il bunker lo pensavo più complicato, immaginavo cose stranissime. Qualche giorno prima una libertà assoluta, qualche giorno dopo regole precise da rispettare. Arrivo nella saletta numero 3. Ci sono altre persone che attendono il loro turno, ciascuna con la propria borsa, ciascuno con il proprio sguardo, ci salutiamo. Alcune sono più anziane di me, altre più giovani. Entro e apro immediatamente il mio cuore, come non mi succedeva da tempo. È come se all’improvviso l’insegnante ritrovasse il suo posto e si rendesse conto di quanto fosse importante parlare, vivere, raccontare. Capisco subito che in quella saletta mi trovo bene, è come se fossi a casa. Qualcuno mi chiede, qualcun altro più giovane vorrebbe parlarmi, sento che il mondo che conta è lì accanto per darti una mano, per farti capire che insieme si può lottare e vincere, ricomponendo pezzi che sembravano perduti per sempre. Ci sono donne e uomini ognuno con la propria storia, molto determinati, sempre pronti al sorriso, a spiegarti quello che non sai e tu fai di tutto per entrare in quella nuova, piccola, ma stupenda società. L’inquietudine lascia quasi subito il posto a una volontà decisa: vivere!. Il personale medico, paramedico, i tecnici, gli infermieri e le infermiere ti parlano, ti sorridono, ti fanno capire che il bunker è solo un modo per far uscir fuori chi realmente siamo, i nostri entusiasmi, la nostra voglia di condividere, di dimostrare che siamo tutti nella stessa barca e che la forza della vita è uno straordinario insieme di energie che s’incontrano per renderla più vera, più forte, più capace di rispondere ai bisogni e alle necessità di ognuno.

È bellissimo! Nel bunker si sorride, nel bunker capisci il valore dell’amicizia, l’importanza della scienza, ti rendi conto che le categorie sono solo convenzioni e che ciò che veramente conta è il tuo stare con le persone, ascoltarle, capirle, aiutarle, fare sì che l’attesa diventi un altro modo per crescere, per valorizzare ciò di cui, forse, ti eri dimenticato. Nel bunker non conta la presunzione, ma la collaborazione. Medico, personale, pazienti, è una società in cui il rispetto dei ruoli e la reciprocità dei rapporti danno un senso molto preciso alle cose che si devono fare. Mi trovo benissimo! Cade il muro delle ventotto applicazioni, ogni giorno ritorni perché sai che lì, nelle viscere della terra, c’è il mondo che è in grado di risvegliare quella tua parte inconscia che è assopita e che, quasi per miracolo, si risveglia e affronta con grande entusiasmo una nuova avventura. Quando crei socialità, quando costruisci amicizia, quando hai fede in te stesso e nelle persone che incontri, quando lasci che lo spirito faccia il suo corso ti allontani dal dramma, rientri in una normalità che rigenera, ti senti di nuovo in corso per la vita, al punto che fai progetti, guardi avanti, tornando a casa sereno, persino allegro, pronto a raccontare a tua moglie e a tua figlia le ore trascorse nel bunker, con persone meravigliose e dove tutto ha il dolce sapore di un risveglio vero e profondo.

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