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Fisica/Mente

BANCA DI COMUNITÀ

MARIO CARLETTI - 16/04/2021

donazioneIn questo periodo in cui la vaccinazione è sulla bocca di tutti sia nel bene che nel male, vale la pena di rammentare che vaccinarsi è un vero esempio di interesse pubblico e sociale.

Abbiamo già ricordato come aver reso l’acqua potabile largamente fruibile e le vaccinazioni, siano stati i due passi di gran lunga più importanti e decisivi per garantire un miglior benessere per l’umanità.

Questo significa che ci sono atti sanitari/sociali che possono migliorare in modo sensibile la qualità della vita dei singoli ma anche delle comunità.

Uno di questi, relativamente semplice, ma fondamentale per la medicina in generale, è la donazione del sangue.

In Italia la più grande associazione che si interessa di donazioni del sangue è l’Avis fondata nel 1927. Si tratta di una organizzazione privata senza scopo di lucro il cui acronimo significa Associazione Volontari Italiani del Sangue.

Perché donare il sangue? Innanzitutto vale la pena di ricordare che il sangue non è un tessuto che siamo in grado di riprodurre in laboratorio ma è un tessuto fondamentale per la nostra vita.

Per dare una dimensione al fenomeno (riportando proprio i dati Avis) ricordiamo che ogni anno vengono trasfuse 3 milioni di unità di emocomponenti oltre a 800 mila kg di plasma (la parte liquida del sangue).

La donazione di sangue permette quindi di mettere a disposizione della popolazione una banca, una riserva di tessuto, che è a disposizione della comunità in caso di bisogno. A questa riserva il sistema sanitario nazionale può attingere quindi sia per affrontare situazioni acute non programmate (emorragie da incidenti ad es) sia programmate, come patologie croniche od interventi chirurgici, per i quali possa essere richiesto un reintegro di sangue.

Per candidarsi a diventare donatori bisogna avere una età compresa tra i 18 ed i 60 anni, se si decide di farlo dopo i 60 anni per la prima volta o di proseguire oltre i 60 (fino ai 70), questo è possibile con una valutazione del medico responsabile.

Bisogna godere di un buon stato di salute, pesare almeno 50 kg, avere stili di vita che non mettano a rischio chi riceve il sangue donato ed avere una idoneità legata a colloquio, valutazione clinica ed esami di laboratori, tutti volti a garantire al ricevente un tessuto ideale.

Tutto questo percorso è contenuto e declinato nei particolari da un Decreto del Ministero della Salute del 2 novembre 2015 dal titolo “Disposizione relative ai requisiti di qualità e sicurezza del sangue e degli emocomponenti”.

Pertanto chi è intenzionato a donare deve rientrare in queste categorie, può quindi prendere contatto con un centro donazioni e dovrà quindi compilare un questionario finalizzato a conoscere il suo stato di salute ed i suoi stili di vita. Seguirà quindi il colloquio e la visita con un medico responsabile che potrà naturalmente aiutare a chiarire o capire meglio le domande ed infine verrà fatto il primo prelievo che serve a garantire la qualità del tessuto prelevato.

Prima del prelievo è possibile assumere una leggera colazione a base di spremuta, tè e caffè (con poco zucchero), pane o carboidrati semplici.

Questo primo esame ematico ha lo scopo di andare a cercare nel sangue del donatore alcuni segnali tipici di malattie passate o in essere relativamente comuni (ad es epatiti) o trasmissione sessuale (ad es sifilide o AIDS).

Serve però anche a caratterizzare il sangue del donatore, vale a dire determinare quale sia il gruppo sanguigno di appartenenza e la presenza di eventuali anticorpi.

Qui va aperta una parentesi per spiegare che il sangue non è un tessuto compatibile per tutti ma ha caratteristiche ben precise legate a delle proteine dette antigeni che sono situate sulla parete cellulare dei globuli rossi. Non solo, perché nel sangue ci sono circolanti anche degli anticorpi contro gli antigeni assenti sul globulo rosso della persona.

Diciamo in parole semplici che il sangue di ogni essere umano è riconosciuto diverso od uguale da un altro, a seconda dell’appartenenza e meno alla stessa famiglia (gruppo).

Il sistema di classificazione più comune e noto di queste famiglie (ma ve ne sono altri) è quello AB0 che divide la popolazione in quattro grande famiglie: A, B, AB oppure 0 (zero).

A questo si aggiunge un ulteriore specifica, che ogni gruppo può essere Rh positivo o negativo, anche qui a secondo della presenza o meno di un antigene.

Quindi compatibilità tra gruppi sanguigni vuol dire che ciascuno di noi reagisce distruggendo i globuli rossi se non li riconosce come parte di sé cioè come appartenenti alla medesima famiglia, è dunque fondamentale che il sangue del donatore sia compatibile con quello del ricevente.

Il gruppo 0 negativo può donare a tutti (ma ricevere solo lo stesso gruppo) mentre il gruppo AB positivo può donare solo allo stesso gruppo (ma ricevere da tutti) e questi sono i due estremi delle diverse combinazioni di compatibilità.

Inoltre il donatore periodico è sottoposto a controlli almeno annuali di diversi valori ematochimici volti a valutarne il buono stato di salute (ad es glicemia, colesterolemia, creatininemia etc).

Dal prelievo (in media di circa 450 gr) il tessuto può essere utilizzato per gli emocomponenti o i derivati dal plasma: globuli rossi, plasma o buffy coat (leucociti e piastrine) ne sono un esempio.

L’elenco delle patologie per le quali vengono utilizzate le trasfusioni è piuttosto lungo ma ricordiamo gli interventi chirurgici, i trapianti, diverse malattie oncologiche ed ematologiche, le anemie in generale etc come è importante sottolineare che in caso di eventi eccezionali come incidenti, disastri, terremoti il fabbisogno degli emocomponenti sia vitale.

Per finire qualche dato statistico (anche se l’ultima relazione europea è del 2011): l’Austria è il paese più virtuoso (66%) Francia (52%), l’Italia è tra quelli in coda (23%).

Dati più recenti in Italia (2017) purtroppo segnalano ulteriore calo tra i donatori: la Regione top è il Friuli Venezia Giulia (39,2 per mille abitanti), la media italiana 27,7, Lombardia sotto la media (24,5) pari alla Campania.

Vacciniamoci, ma possiamo fare anche di più.

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