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Chiesa

HERMANO

SERGIO REDAELLI - 23/04/2021

Hans Küng

Hans Küng

Francesco lo chiamava querido hermano, caro confratello e Hans Küng, il teologo “ribelle” morto il 6 aprile a 93 anni, ricambiava d’istinto la simpatia e la stima del pontefice argentino. Con Bergoglio, diceva, “sento rinascere la speranza nella Chiesa”. In lui rivedeva lo spirito dell’altro Francesco, quello di Assisi, che aveva abbandonato ricchezze, lusso e avidità e simboleggiava l’opposto dell’immobilità dogmatica del tempo di Innocenzo III. Ritrovava la Chiesa che si prende cura dei poveri e dei bisognosi, che non accumula ricchezze e capitali, che pratica la filantropia, il dialogo e l’ospitalità, che promuove la fraternità e la solidarietà sociale, che non esclude nuove forze e idee religiose.

Insomma una Chiesa che ascolta gli uomini anziché indottrinarli dall’alto verso il basso, che non si limita a insegnare ma soccorre. Dall’amico e avversario Joseph Ratzinger, si sentiva invece deluso. Lo aveva voluto a insegnare all’Università di Tubinga in Germania e con lui era stato il più giovane esperto al Concilio Vaticano II che si tenne dal 1962 al 1965. Ma poi se ne allontanò: “Sotto il regime Woytjla-Ratzinger – scriveva nel libro Di fronte al papa (Rizzoli, 2016) – invece che a una riforma sostanziale della Chiesa si è giunti di nuovo a una fatale restaurazione. Il primo caso di dimissioni papali in quasi settecento anni rivela la crisi di fondo che si profila su una Chiesa apparentemente congelata nel suo inverno”.

All’annuncio della morte del teologo svizzero, le cronache riferiscono che Benedetto XVI abbia laconicamente mormorato Requiescat in pace, riposi in pace e si sia chiuso in preghiera per l’antico amico, di un anno più giovane, che aveva preso una strada diversa. Certo in difficoltà a condividere quanto Hans Küng aveva scritto all’indomani delle sue dimissioni dal trono di Pietro e all’annuncio di restare emerito: “La Chiesa ha bisogno di un papa aperto alle istanze poste dalla Riforma e dalla modernità. Un papa che sostenga non solo nelle prediche la libertà della Chiesa nel mondo, ma si batta con le parole e i fatti per la libertà e i diritti umani all’interno della Chiesa, per i teologi, per le donne, per tutti i cattolici che vogliono dire apertamente la verità”.

“Un papa – incalzava – che non costringa i vescovi a sottomettersi a una linea di partito reazionaria, che realizzi la democrazia nella Chiesa prendendo a modello il cristianesimo primitivo. Un pontefice che non si lasci influenzare da un “papa ombra” che risiede in Vaticano e dai suoi fedelissimi”. Nato a Sursee nel cantone di Lucerna il 19 marzo 1928, studente alla Gregoriana di Roma e laureato alla Sorbona di Parigi, sacerdote e saggista, Hans Küng ha speso la vita per promuovere il dialogo tra le religioni e predicare la cooperazione attraverso i valori comuni. Un pensatore scomodo e controcorrente che rifiutava il dogma dell’infallibilità del papa ed era noto per le posizioni critiche verso la dottrina della Chiesa di Roma.

Discuteva la funzione della gerarchia ecclesiastica e i criteri delle nomine episcopali, rifletteva sul sacerdozio femminile, l’eutanasia, la sessualità, la contraccezione, il celibato sacerdotale e la libertà della ricerca teologica. Nel 1970 aveva pubblicato il libro Infallibile? Una domanda, con un grande punto interrogativo in copertina, mettendo clamorosamente in discussione il dogma approvato cent’anni prima dal Concilio Vaticano I, indetto da Pio IX per contrastare la perdita del potere temporale. E il libro era diventato subito un best-seller. La Pontificia Accademia per la Vita lo omaggia: “Una grande figura di teologo dell’ultimo secolo, le sue idee devono fare riflettere la Chiesa, la società e la cultura”.

Premiato con sedici lauree onorarie, ma nel 1975 la Congregazione per la dottrina della fede, l’ex Inquisizione, lo aveva richiamato per le affermazioni antidogmatiche. E l’ex Sant’Uffizio il 18 dicembre 1979, ai tempi di Giovanni Paolo II, gli aveva revocato la missio canonica, l’autorizzazione a insegnare teologia cattolica. Küng contraccambiava la sfiducia. Accusava Wojtyla di avere “una visione medievale della Chiesa”, di favorire la restaurazione ante-conciliare, di impedire le riforme e opporsi al dialogo tra le Chiese. “Giovanni Paolo II – scriveva – predica i diritti degli uomini all’esterno ma li ha negati all’interno, cioè ai vescovi, ai teologi e soprattutto alle donne”.

Studioso di storia delle religioni e aperto a “un’etica comune” delle diverse fedi, si era allontanato anche da Ratzinger, nel 2000, quando l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio aveva affermato nel documento dottrinale Dominus Iesus che non c’è salvezza al di fuori delle religioni cristiane. Per il teologo svizzero, invece, ci sono semi di verità e quindi di cristianesimo anche in altre religioni ed è possibile costruire un codice di comportamento condiviso. Il presupposto da cui partiva è che non c’è pace mondiale senza pace religiosa e non ci può essere pace tra le religioni senza dialogo. Ammoniva a cercare un accordo perché “le differenze sono più nella dogmatica che nell’etica”.

Affermava che “la parola del Padre è la verità che illumina anche le altre fedi”, che sono quindi da considerare tutte vie di salvezza. La teologia, per Hans Küng, non è solo la materia che si insegna nei Seminari per formare i giovani preti e la classe dirigente della Chiesa. La “scienza divina” è la ricerca della verità che tormenta il genere umano sulle questioni radicali dell’esistenza. Deve essere al servizio dell’umanità, promuovere la collaborazione tra le religioni e proporsi l’obiettivo di favorire il dialogo. Il pensatore svizzero è il teologo più letto al mondo e uno dei più influenti. Il suo spirito pungente era motivato dalla volontà di realizzare lo spirito e le aperture del Concilio Vaticano II di papa Giovanni XXIII.

 

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