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Editoriale

INSULA

MASSIMO LODI - 07/05/2021

draghimattarellaNon è inutile guardare oggi all’elezione del presidente della Repubblica di domani. Appuntamento nel febbraio prossimo, pronostico d’una volata lunga. Oremus. La destra vorrebbe che Draghi assumesse l’incarico, succedendo a Mattarella indisponibile al bis, perfino se un bis a termine, come fu per Napolitano. Evidente lo scopo: tolto di mezzo l’attuale presidente del Consiglio, s’andrebbe a elezioni anticipate. E Salvini Meloni Berlusconi son convinti di vincerle. Salvini ha un motivo in aggiunta per volerle: più passa il tempo e più la Meloni s’avvicina al sorpasso sulla Lega. Ciò che la investirebbe capa (Capitana) della coalizione e dunque papabile alla premiership. Infine: Draghi al Quirinale sarebbe per la destra una garanzia migliore d’ogni eventuale altra.

La sinistra mira invece alla scelta opposta. Draghi resti dov’è sino a fine legislatura, e magari oltre, in virtù d’un rinnovo del mandato. Sul Colle o rimanga l’attuale inquilino, cedendo all’intensificarsi delle pressioni; o salga uno dei numerosi aspiranti di questa parte politica. Per dire: Prodi, che porta i suoi ottant’anni con brillantezza elisabettiana, o Gentiloni o Veltroni o Franceschini. Eccetera. Una fila di nomi spendibili. A sinistra si moltiplicano, a destra vola alto solo il nome della Casellati, presidente del Senato. A meno che non si voglia in quel campo collocare Pier Ferdinando Casini, centrista buono in ogni stagione.

Anche l’Europa vede con favore la permanenza di Draghi sulla poltrona autorevolmente occupata. È l’unico di cui si fida per la realizzazione del Recovery plan, un formidabile impegno riformistico che richiede misure incisive adesso, e continuità operativa poi. Roba non di qualche mese, ma di alcuni anni. A Bruxelles si chiedono chi potrebbe surrogare l’attuale governatore di Chigi. Risposta: nessuno. Se lo chiedono anche in Italia. Perlomeno in quell’Italia che bada al sodo, ha i piedi in terra, la testa sgombra da ideologizzazioni, l’orizzonte chiaro. Risposta uguale: nessuno.

Perciò fa bene Letta a voler stringere i tempi dell’alleanza con i Cinquestelle. Che passa per l’individuazione di candidati comuni alle amministrative di Roma, Napoli, Mlano, Torino eccetera. Purché i Cinquestelle decidano cosa fare di sé stessi. Basta con Grillo e avanti sotto la guida di Conte? Sembrerebbe ovvio. Se no, meglio che Conte faccia da sé, inventandosi un partito post democristiano. Idem bene fa Letta a cercare di “sfilare” Berlusconi alla destra in prospettiva quirinalizia. Han già governato insieme, sanno come parlarsi.

Quanto a Salvini e Meloni, si giocano tutto alle amministrative. Se la coalizione darà cappotto agli avversari, Berlusconi allontanerà le sirene lettiane, tenendosi cari gli antichi sodali. Tutt’insieme tratteranno da una posizione di forza il nome del presidente della Repubblica, rovesciando il crack politico immaginato da Letta: ovvero “sfilare” il Pd dai Cinquestelle. Invece d’una maggioranza Ursula (Pd, Cinquestelle, Forza Italia nel Parlamento di Strasburgo), una maggioranza Insula (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Pd, Italia Viva a fare isola nel Parlamento italiano). Pare sia il progetto di Renzi, che rese naufrago Conte favorendo il nocchiero Draghi.

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