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Urbi et Orbi

TANTI ‘IO’ CAMBIATI

PAOLO CREMONESI - 14/05/2021

fabbrica“La seconda ondata ci ha colti non meno impreparati e non meno immaturi di prima, ma più stanchi, avviliti, litigiosi e meschini”. Lo scrittore Antonio Scurati fotografa in maniera ‘tranchant’ la situazione. Gli fa eco lo psicanalista Massimo Recalcati: “il secondo tempo del trauma è più duro del primo perché mostra che il male non si è esaurito. Le speranze alimentata dall’estate si sono infrante e una delusione è oggi il sentimento prevalente”. Considerazioni che fanno dire ad un ex collega davanti a un caffè da asporto: “se devo essere sincero con me stesso, per la prima volta nella mia vita non so più cosa dire o fare”.

Certo ora possiamo contare su una vaccinazione di massa e su un’Italia sempre più tinta di giallo ma la sensazione è che i problemi scatenati dal Covid abbiano scavato in profondità sotto i nostri piedi e che un nuovo equilibrio sociale sia ben lontano dall’essere definito.

Da dove cominciare? Un amico medico racconta di un fatto che gli è accaduto pochi giorni fa. Tornando dalla Messa quotidiana, a cui assiste prima di immergersi nei gironi infernali del Bambin Gesù, viene avvicinato al parcheggio da una collega di cinquant’anni. “È una anestesista con cui mi è capitato di lavorare alcune volte in sala operatoria ma senza aver avuto poi alcuna frequentazione”. “Senti – mi dice – posso venire anch’io dove vai alla mattina?” “Perché?” domando “Perché – risponde – sono curiosa di capire dove è la sorgente della tua pace. La faccia che tu hai durante il lavoro non c’è in nessuno dei nostri colleghi”.

Altro fronte: la scuola. Racconta una insegnante dopo mesi di faticose e stressanti lezioni via Zoom. “Ai miei alunni delle elementari stavo parlando degli antichi egizi. Una ragazzina alza la mano nello schermo e domanda il perché delle mummie. Rispondo che il desiderio di ogni essere umano è sempre stato che la vita non finisca con la morte. Per questo gli egizi imbalsamavano i defunti. La bimba sta zitta un po’ e poi esclama: Che bello! Allora anche oggi nonostante il Covid possiamo dire che la vita continua”.

Un padre etiope giunto nella capitale per assistere un figlio ricoverato al Bambin Gesù trova accoglienza presso una famiglia. Ogni giorno viene accompagnato all’ospedale. Conosce altri genitori nelle sue condizioni. Grazie all’inglese diventa amico di alcuni. Viene aiutato a fare la spesa, portato nel poco tempo libero a visitare la città, assistito nelle procedure burocratiche. Il figlio purtroppo non ce la fa e gli amici italiani lo aiutano a organizzare il funerale facendosi carico delle spese. Prima di ripartire l’uomo commenta: “Mentre nel mio paese ci scanniamo tra di noi, a Roma persone straniere mi hanno accolto come un fratello”.

In una parrocchia della capitale alcune mamme impaurite dalla situazione, anziché lasciarsi andare al lamento (sport romano per eccellenza), decidono di trovarsi, dopo aver portato i bimbi a scuola, per un momento di preghiera. Subito dopo colazione al bar. Si sono chiamate “Quelle del dopo Covid” e ne è nata una solidarietà reciproca che ha aiutato ora l’una ora l’altra negli inevitabili momenti di difficoltà della pandemia.

Episodi ‘minimalisti’ dirà qualcuno? Se c’è una lezione che il Covid ci ha lasciato è che quelli che si pensavano sistemi perfetti, non lo erano affatto. La ripartenza è affidata alla persona e alla sua capacità di dire: esiste qualcosa più grande della delusione, della paura e dello sconforto. Bene ha fatto il Premier Draghi, in un recente incontro con le Regioni, a parlare di “gusto del futuro”. Le basi su cui si poggia qualsiasi progetto sociale sono oggi immateriali: Il futuro sarà costruito dai tanti ‘io’ cambiati.

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