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Politica

NUOVA OFFERTA ELETTORALE

ROBERTO MOLINARI - 27/05/2021

progettoIn queste ultime settimane, una parte del dibattito politico nazionale, è stato assorbito dal tema candidati e alleanze.

Questo in ragione del fatto che in autunno si vota in numerose città, tra le quali Roma, Torino, Milano, Napoli.

In questo momento le forze politiche sono concentrate nel cercare ancora in molti centri il candidato migliore da spendere e come e con chi presentarsi.

Il Pd e il centrodestra a trazione sovranista hanno un problema comune e uno no. Il problema comune è trovare il candidato migliore e capace di raccogliere più consensi nella propria area e più voti nel corpaccione fluttuante del voto moderato e non identitario.

Il problema non in comune, invece, ce l’ha solo il Pd ed è il problema del con chi ci si presenta e quindi con chi ci si allea. Perché il centrodestra non ha questo stesso dilemma? Perché la Lega di Salvini e FdI sono forze sovraniste che si spartiscono in competizione tra loro gli elettori solo per stabilire la leadership del loro schieramento. E perché Forza Italia ha abiurato alla propria vocazione di essere la casa dei moderati e ha deciso di essere ruota di scorta dei sovranisti in attesa degli eventi. Il Pd ha, invece, come per sua natura, una mission più complessa.

Sappiamo come le dimissioni inaspettate di Zingaretti abbiano portato i democratici ad una crisi di nervi che ha rasentato il baratro e sappiamo anche come, con un colpo di coda, si sia rialzato dando in mano le sue sorti a colui che ai tempi del “stai sereno Enrico”, era stato defenestrato proprio dal king maker degli ultimi due governi, il Conte 2 e il Draghi 1.

E sappiamo anche che Zingaretti mal consigliato ha giocato malissimo la partita politica che ha poi portato al governo Draghi e indebolito in maniera pericolosa proprio il Pd.

E dunque, al suo ritorno in patria e in attività politica, Letta ha veramente trovato più macerie che solide fondamenta e tra queste macerie, sicuramente, i dossier aperti dei candidati sindaci e delle alleanze, dove, il vero tema, il vero nodo gordiano, per quanto riguarda, appunto, candidati e alleanze nelle città al voto, è il rapporto con i “5 stelle”.

Se è vero come appare che il nodo del rapporto “5 stelle” – Pd, a livello nazionale, è un argomento aperto, in evoluzione ed anche molto condizionato dal processo tutto interno dei pentastellati, dalla leadership di Conte, dal loro rapporto con Casaleggio, ma anche dalla linea politica che prevarrà nelle prossime settimane, è anche vero che il tema alleanze locali in vista delle prossime elezioni amministrative è forse ancora più complicato e complesso.

Perché complesso? Perché si va al voto in alcune città dove o il Pd o i “5 stelle” sono all’opposizione l’uno dell’altro. Perché in questa situazione è difficile trovare un candidato comune che soddisfi le diverse esigenze, perché non è sufficiente che qualcuno faccia un passo indietro se non si sono costruite le basi della fiducia e perché non basta dire vogliamo avere una alleanza strategica per battere le destre sovraniste se poi permangono, soprattutto a livello nazionale, sacche di non detto, di non certo e di ambiguità. E perché il cammino delle alleanze non può essere frutto di un dialogo poche settimane prima del voto, ma deve trovare origine in un tempo non sospetto e in un percorso condiviso ben prima.

Ovviamente dire che le alleanze si costruiscono non a Roma, ma a livello locale non vuol dire sostenere operazioni alla “Milazzo” (Sicilia 1958/1960), operazioni trasformistiche e prive di un quadro politico di riferimento, ma, viceversa, vuol dire ricercare le ragioni di uno stare insieme sulla base di un programma condiviso e di un percorso politico di autonomia che fa sì che le decisioni siano prese sul territorio e non si calino dall’alto schemi decisi altrove e privi di radici oltre che di una lettura reale di quello che è il campo in cui giocare la partita.

Dunque, rispetto ad una epoca in cui i partiti contavano e avevano una struttura organizzativa forte e centralista, oggi siamo in un periodo in cui, senza scadere nell’estremismo autonomista, le alleanze, per le elezioni amministrative, hanno la loro ragion d’essere nell’azione che può essere costruita a livello locale, una azione fatta certamente di un leader, il candidato sindaco, di un programma condiviso, di fiducia reciproca e di un obiettivo politico perseguito attraverso la capacità di coinvolgere e di saper rompere gli schieramenti precostituiti e di elettori che si vogliono inamovibili. In sostanza, anche attraverso la capacità di saper unire i partiti con chi è più espressione originale del territorio, le liste civiche.

Con una idea ben precisa. Quella che l’azione politica anche a livello locale se ha successo vuol dire che produce cambiamento e quindi, di conseguenza, fugge dalla logica dell’immutabilità, dell’irrigidimento in schemi di appartenenza identitari e persegue l’allargamento delle basi del suo consenso rompendo gli interessi consolidati.

Senza scadere nella retorica è in buona parte quello che è accaduto nel 2016 a Varese e che abbiamo perseguito in tutti questi anni visto che anche noi siamo una città che andrà al voto in autunno.

Nel 2016 si è intercettata la voglia di cambiamento dei ceti popolari non parassitari di Varese, stanchi del nulla leghista e di un decennio inconcludente. Si sono rotti gli schemi precostituiti che facevano sì che gli elettori non fluttuassero mai e si è messa a disposizione una offerta politica e amministrativa nuova, non rivoluzionaria, ma positiva per risvegliare “Biancaneve” (Varese) dal torpore in cui era stata gettata dall’incapacità amministrativa di chi ci ha preceduti. In questi cinque anni abbiamo lavorato non chiudendoci nel Palazzo, ma liberando le energie necessarie affinché a Varese potessero muoversi da protagonisti tutti coloro che avevano idee da mettere in campo e per questo potevano contare su una Amministrazione amica e dinamica. È così che sono cambiati gli equilibri. Si sono rotte le antiche appartenenze e gli interessi costituiti divenuti rendite di posizioni utili solo per i soliti noti e si è così risposto alla domanda di cambiamento senza farsi però vincolare all’idea di essere immutabili. Di qui l’apertura a soggetti nuovi, nuovi perché prima non c’erano e a soggetti nuovi che hanno saputo leggere i cambiamenti e condividere il percorso intrapreso, unito alla voglia di essere protagonisti nel proseguire l’avventura. Quando, qualche mese fa, scrivevo su RMFonline del fatto che era una prerogativa da perseguire la capacità di essere attrattivi anche nei confronti di elettori moderati che non si potevano riconoscere in un centrodestra che aveva deluso sia negli anni precedenti di amministrazione sia negli anni di attuale opposizione, qualcuno aveva fatto intendere strumentalmente che questo era un aprire ai partiti e alle liste di centrodestra, addirittura teorizzando la volontà di favorire la “transumanza” del centrodestra nella attuale maggioranza. La verità è che una Amministrazione che rifiuta le rendite di posizione e l’utilità marginale (leggi la voglia matta di mettere dei veti) di qualche sua componente si mette in gioco a 360 gradi, senza fermarsi alle definizioni e parlando a tutti perché quando governi, non comandi e devi rappresentare non solo chi ti ha votato, ma tutti i cittadini.

Di qui a discendere la volontà di allargare le basi del consenso e degli elettori concependo la capacità di dialogo anche con chi non ti ha votata come “arma” privilegiata per migliorarsi e evitando di chiudersi nel “ghetto” di chi vuole che l’elettorato sia statico e inamovibile in epoca anche post-ideologica. È per questa ragione che oggi possiamo offrire una coalizione aperta, che unisce più soggetti politici che magari a Roma non si sopportano e sono divisivi, ma che qui hanno trovato, invece, una ragione di coesione; insomma, una coalizione capace anche di essere attrattiva e offrire spazio alle singole persone distanti dai partiti, ma vogliose di mettersi in campo e sperimentare l’impegno civile di cui nessuno può rivendicare di avere il monopolio.

Su Varese il Pd si è fatto portatore di questo metodo e di queste modalità, un metodo aperto, che non ricerca egemonia né tanto meno prevaricazione in ragione della forza dei numeri o della più banale utilità marginale di chi ritiene che la politica dei no e dei veti possa essere vincente. La buona politica che produce cambiamenti necessita di una nuova offerta politica. Se produci mutamenti, provochi anche una nuova domanda da parte degli elettori, una domanda che deve trovare soddisfazione con una nuova proposta, solo così si dice no alle rendite di posizione, al diritto di veto rivendicato, all’inaridimento dell’azione amministrativa e solo così si costruisce un futuro condiviso.

 Roberto Molinari, Direzione Provinciale PD Varese

 

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