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Sport

LA NOSTRA “CHICCA”

CLAUDIO PIOVANELLI - 27/05/2021

chiccaChi non conosce Laura “Chicca” Macchi? Varesina doc, tra le più forti giocatrici della storia del basket italiano, Chicca vanta una infinita serie di successi: 9 scudetti, 8 Coppe Italia, 11 Supercoppe (trofei più o meno equamente suddivisi tra Como e Schio), una edizione dell’Eurocup, ha collezionato 105 presenze in Nazionale e per due stagioni ha militato nella WNBA, la lega professionistica statunitense, vestendo la maglia delle Sparks di Los Angeles.

Oggi Chicca, 42 anni compiuti lo scorso 24 maggio, si ritrova in una sorta di strano limbo: ha disputato la sua ultima partita nel febbraio 2020 con la maglia della Reyer Venezia (il campionato fu poi sospeso a causa della pandemia) ma non ha mai annunciato la fine della sua luminosissima carriera di giocatrice.

<In effetti – confessa – è tutto ancora in sospeso. Con Venezia avevo un contratto per un anno e mezzo, dunque sino a giugno 2021, ma quando è stato il momento di ricominciare, tra mille incertezze sempre legate al Covid, non me la sono sentita. A gennaio ho ricevuto delle proposte, sia per giocare sia per allenare (ho conseguito il patentino per sedere in panchina), ma poi sono subentrate esigenze di carattere famigliare e per me la famiglia viene prima di ogni altra cosa. Ma sento di avere lasciato qualcosa in sospeso che dovrò necessariamente risolvere>.

- Intanto, dopo tanti anni, è tornata da poco ad abitare a Varese…

<Sì, con Sandro, il mio compagno (ndr: Sandro Orlando, allenatore pluriscudettato in campo femminile, nel 2019 oro agli Europei con la Nazionale under 20), abbiamo trovato una bellissima casa a Varese. Sento di avere perso un po’ il legame con la città, con gli amici di un tempo, ma sentivo soprattutto l’esigenza di mettere fine a quella vita un po’ da zingara che ho necessariamente condotto per tanti anni. A Varese sono sempre tornata, con i miei genitori c’è stato sempre un grandissimo attaccamento: ho giocato per sette anni a Como e solo all’ultima stagione avevo preso casa in città: tornavo sempre da mamma e papà, magari due volte al giorno quando ci si allenava anche la mattina… Mio padre mi ha sempre seguìto, ha assistito a quasi tutte le mie partite e se io sono diventata una giocatrice di basket è perché, dopo avere tentato di fare il portiere di pallanuoto, ho visto lui che giocava nelle serie minori>.

- In attesa di sciogliere i dubbi sul futuro, vogliamo ricordare qualcosa del passato, magari a cominciare da Varese e dalla SIViaggi?

<Varese è stato il trampolino di lancio. Sono stati tre anni importantissimi, dopo il settore giovanile a Rho, che mi hanno lasciato ricordi stupendi e riservato enormi soddisfazioni, come due promozioni, il debutto in serie A1 e la possibilità poi di giocare in una grande squadra. Ecco, tra le cose che mi mancano è una vittoria per la mia città e per questo invidio molto Andrea Meneghin>.

- Da Varese a Como il passo fu breve ma… non in campo.

<A Varese il basket era solo divertimento, a Como non c’era spazio per questo, il clima era completamente diverso. Avevo solo 20 anni, a volte tornavo a casa in lacrime dopo gli allenamenti ma, dopo la maturità, avevo scelto di rinunciare all’università per dedicarmi solo al basket e mia madre fu tassativa: “Hai voluto la bicicletta, ora devi pedalare”. Così, in quella grande palestra di basket e di vita, ho dovuto crescere in fretta. La ricompensa però c’è stata: a Como ho vinto tanto e mi sono affermata>.

- Poi la crisi del settimo anno…

<Non fu una vera crisi, a Como c’era qualche difficoltà a mantenere la squadra al vertice, così fu una scelta di comune accordo, che consentiva oltretutto alla società di incassare qualcosa dalla mia cessione. Potevo scegliere tra Parma, che avrebbe disputato ancora l’Eurolega, e Ribera, un bel posto, sul mare, in provincia di Agrigento, su cui cadde la mia scelta. Fu l’annata per me più strana, per la prima volta senza playoff: dopo l’allenamento andavo a fare un tuffo in mare, furono mesi molto piacevoli. Già a gennaio avrei potuto andare a Schio e tornare a vincere ma non mi sembrava serio abbandonare così la società siciliana a metà strada>.

- A Schio ci andò qualche mese più tardi…

<Quando mi chiamò il presidente della Famila, pensai a uno scherzo e misi giù il telefono. Poi, alla seconda chiamata, in un attimo dissi di sì. Lì c’era un gruppo vincente e io, che pure a Como avevo vinto tanto, vi entrai in punta di piedi, anche se il mio esordio fu un po’ presuntuoso: la società mi propose la maglia numero 10, quella di Penny Taylor che a Schio era stata una superstar e della quale dovevo prendere il posto, ma io dissi: “Datemi la numero 20, perché credo di valere il doppio”. Schio è una città piccola che vive di basket, con il presidente Cestaro si è creato un bellissimo legame che dura tuttora, lì è la mia seconda casa>.

- A Schio ha giocato per 11 anni, poi l’addio…

<Fisicamente e psicologicamente, dopo tanti anni di impegno, avevo l’esigenza di rallentare un po’. Avevo ancora un anno di contratto, arrivò la proposta di Napoli, che stava allestendo una buonissima squadra, e confesso che trascorsi una settimana insonne. Era giusto tradire quella che sentivo come una mia seconda famiglia? Alla fine però prevalse la necessità di cominciare a scalare un po’ le marce, così andai a Napoli. La squadra, come ho detto, era molto valida ma già dopo un mese cominciarono i problemi: noi giocatrici vedemmo solo il primo stipendio, così le straniere smisero subito di allenarsi e alla fine, nella impossibilità di far fronte agli impegni, la società decise di ritirarsi dal campionato. Mi ero innamorata di Napoli, dei suoi ritmi, delle sue atmosfere, ma a gennaio ricevetti e accettai la proposta di Venezia, la mia ultima squadra, e la prima partita fu proprio contro Schio… A Venezia ho apprezzato l’organizzazione, il fatto che il club ha le due realtà maschile e femminile, e quel carattere che è davvero una cifra della vecchia Reyer>.

- Lei ha vissuto anche la grande esperienza della WNBA, la NBA al femminile…

<A marzo del 2004 il mio procuratore mi chiede che cosa penso della WNBA e se mi potrebbe interessare. Io non do grande peso alla cosa, non mi reputo all’altezza. Poi scopro che lui si è mosso attraverso una ex giocatrice che ha militato in Italia e che è la team manager delle Sparks, alla quale ha fatto pervenire dei miei filmati. Insomma, Michael Cooper, allenatore delle Sparks, si presenta a Como e assiste a due partite di playoff in cui io gioco malissimo, le due peggiori gare di playoff della mia carriera. Io alla fine mi scuso ma lui mi dice: “Credi che avessi bisogno di queste due partite per sapere quanto vali?”. Così approdo a Los Angeles e con me c’è anche la mia compagna Raffaella Masciadri, che Cooper nota e che ottiene un contratto a tempo, poi confermato. Sono due anni meravigliosi, innanzitutto per la consapevolezza di poter stare a quei livelli di gioco e anche per la “scoperta” degli USA. I primi tempi non sono facili, soprattutto in campo: nei primi venti giorni Masciadri ed io non vediamo la palla, poi le compagne, tutte di colore, comprendono di potersi fidare…. Ma poi tutto va benissimo. Una soddisfazione è fare arrivare negli Stati Uniti mamma, papà e mia sorella Elena con il marito. Al terzo anno potrei andare a giocare a Chicago ma i ritmi sono ormai insostenibili, perchè d’inverno disputo a Schio campionato e coppe europee e d’estate sono negli Stati Uniti, senza mai fermarmi, e sempre giocando per 30/35 minuti a partita: impossibile continuare così>.

- Ultimo capitolo, la Nazionale…

<Un rapporto complesso quello con la Nazionale, fatto un po’ di odio e amore. A 12 anni la mia prima convocazione a un raduno, mi resta il rammarico di non avere mai vinto una manifestazione in maglia azzurra. Una prima crisi è nel 2008: è appena mancata mia madre, comunico che rinuncio; ci sono grandi insistenze e io non capisco come sia possibile non rispettare il mio stato d’animo, pronta anche a una squalifica. Nel 2011 un serio infortunio mi costringe di nuovo a rinunciare ma, a sorpresa, nel 2015 (a 36 anni) il tecnico Capobianco mi chiama di nuovo, insistendo e vincendo le mie perplessità. Nel 2017, agli Europei di Praga, rimedio un serissimo infortunio, la frattura della mandibola, che contro la Turchia mette termine alla mia lunga avventura in azzurro. La sera del giorno successivo vengo operata a Milano ma cinque giorni dopo torno a Praga per stare accanto alle mie compagne, un gesto che so essere stato molto apprezzato nel gruppo azzurro>.

- Come vogliamo chiudere questa chiacchierata?

<Con un arrivederci!>.

- Che dice tutto e niente sul suo futuro…

<Già… In questo momento non sento il basket come una priorità: dopo tanti anni di lontananza, ho il desiderio di stare accanto al mio compagno e alla mia famiglia. Ma sono pronta a considerare un progetto che mi veda impegnata non necessariamente come giocatrice. A Varese? Perché no?>.

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