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Attualità

CANESTRI AFRICANI

FLAVIO VANETTI - 04/06/2021

monastirAvrebbe dovuto partire l’anno scorso, ma l’emergenza sanitaria impose lo stop e il rinvio. Ora il momento è venuto e la Basketball Africa League, figlia di una promettente joint venture tra la Nba (la lega professionistica Usa) e la Fiba (la Federazione internazionale della pallacanestro) ha proclamato il primo vincitore della sua storia in un campionato partito il 16 maggio scorso con un format rapido, simile a quello di un Mondiale che esaurisce i verdetti in una ventina di giorni: i campioni sono gli egiziani dello Zamalek, che in finale hanno sconfitto i tunisini dell’US Monastir per 76-63.

Nel basket mondiale si è così aperto un capitolo nuovo (in grado, come vedremo, di creare un potenziale effetto domino) grazie a 12 squadre – il meglio della pallacanestro africana – raggruppate in tre gironi. Alla prima parte del torneo ne è seguita una seconda a girone unico con formula all’italiana. Infine si è proceduto con semifinali e finali per le quattro meglio classificate. I Paesi rappresentati erano: Rwanda, Nigeria, Angola, Mali, Senegal, Egitto, Marocco, Mozambico, Camerun, Madagascar, Algeria e Tunisia. La potenza di fuoco della Nba, anima dell’iniziativa più di quanto non lo sia la Fiba, ha fatto sì che la copertura televisiva fosse già importante. Queste infatti le emittenti che hanno diffuso in tutto il globo le partite della neonata lega africana: Canal+, Espn, beIN Sports, Nba Tv, Tencent Video, Tsn, American Forces Network and Voice of America.

Del resto è naturale che ci sia un “imprinting” americano sulla Bal. È dalla metà degli anni 80, cioè da quando nel basket professionistico apparve un fuoriclasse quale Hakeem Olajuwon (nigeriano poi naturalizzato statunitense) che l’Africa è diventata un potenziale e primario serbatoio della lega cestistica più importante del mondo. Oggi il continente nero fa tendenza e giocatori come Pascal Siakam (Toronto Raptors) o lo stesso Giannis Antetokounmpo, la stella dei Milwaukee Bucks che ha il passaporto greco ma natali nigeriani, sono dei fari di riferimento e la dimostrazione che nel suo espandersi planetario la Nba non poteva trascurare questa realtà.

La parte organizzativa e di avviamento è stata poi curata da un dirigente africano di altissimo profilo e talento: Masaj Ujiri, lui pure nigeriano, l’uomo che ha posto le basi del rilancio dei Denver Nuggets e poi, diventato general manager dei Toronto Raptors, colui che ha guidato al titolo 2019 la prima franchigia non statunitense nella storia del campionato professionistico. Ujiri, lavoratore instancabile e uomo di sport dal fiuto straordinario, ha avuto buon gioco nell’ottenere il consenso sull’idea di reclutare nuovi talenti in Africa da un personaggio quale Barack Obama: l’ex presidente è stato così uno dei testimonial coinvolti nel lancio della Bal. Assecondando la filosofia di essere un campionato-laboratorio, la Basketball Africa League imbarca in questo momento sia giovani provenienti dalla G-League della Nba (il torneo satellite, di formazione e sviluppo) sia talenti locali. La regola è rigida: gli organici sono da 12 titolari e 1 riserva, ma gli stranieri possono essere solo 4; quindi almeno 8 devono essere giocatori indigeni.

Ci vorrà un minimo di pazienza per vedere i primi concreti risultati dell’investimento, ma il messaggio – dicevamo prima – va al di là dei fatti nel breve-medio periodo. La prerogativa importante della Bal è quella di essere la prima manifestazione griffata Nba ad essere organizzata al di fuori del Nord America. Dato che da una trentina d’anni il basket professionistico ha avviato politiche globali di marketing, non è sbagliato pensare che prima o poi potrà esserci pure una Nba asiatica. O forse anche una Nba europea. In questo caso la domanda è d’obbligo: lavorerebbe di concerto con l’attuale Eurolega, oppure avvierebbe una vera e propria concorrenza, mediante un’ “pa ostile” o addirittura tramite un torneo alternativo? La storia ci dirà.

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