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Società

BENEFIT, NON SOLO PROFITTO

GIANFRANCO FABI - 11/06/2021

benefitSi chiamano società Benefit e sono una nuova dimensione all’interno della realtà economica. Si tratta di società che mantengono il profitto come obiettivo primario (anche perché è un indicatore dell’efficienza dell’impresa), ma affiancano esplicitamente a questo obiettivi legati alla crescita sociale, alla sostenibilità ambientale, alla solidarietà e all’inclusione.

Ce ne sono di tutti i tipi. Solo per citarne alcune in provincia di Varese l’ultima arrivata è Eolo, una delle più dinamiche imprese nate negli ultimi anni e specializzata nelle connessioni internet, ma ci sono anche Re-sign, una piccola realtà che produce spille personalizzate, o la Fratelli Carli, che in centro Varese ha un punto vendita, oppure una società di consulenza come Askesis, fondata e guidata da Massimo Folador, docente di “Business Ethics” all’Università Carlo Cattaneo, forse il più autorevole profeta e testimone di queste realtà.

Le Società Benefit sono un fenomeno forse ancora poco conosciuto ma in forte evoluzione. L’Italia è stata la prima in Europa ad approvare uno strumento normativo con l’entrata in vigore nel 2016 della legge 208/2015 che precisa che la società benefit persegue lo scopo di lucro, ma utilizza il profitto non solo per remunerare gli azionisti, ma anche come mezzo per creare un beneficio che si ripercuote anche su altre categorie di soggetti, quali dipendenti, fornitori, ambiente, società, garantendo allo stesso tempo all’impresa una maggiore redditività. L’essere “benefit” impegna la società a perseguire obiettivi comuni con una gestione che deve bilanciare l’interesse dei soci con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto. Non si tratta solo di impegni generici: la società deve rendere conto annualmente degli obiettivi perseguiti e realizzati attraverso una valutazione dell’impatto dell’attività.

E se la società utilizza il marchio “benefit” solo per una politica di immagine? La legge prevede che “il mancato perseguimento in concreto delle finalità di beneficio comune dichiarate comporta l’applicazione delle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole e quelle del codice del consumo in tema di pratiche commerciali scorrette”.

Le Società Benefit non sono una nuova forma giuridica, ma possono dichiarasi tali tutte le forme giuridiche regolamentate dal codice civile (come le società per azioni, spa, o le società a responsabilità limitata, srl) e che pur mantenendo il fine di lucro (non sono quindi entità no profit) intendono e dichiarano di operare nell’interesse collettivo.

Negli Stati Uniti queste realtà esistono dall’inizio degli anni Duemila sotto la spinta dell’ente americano no profit B-Lab, il quale per primo ha sostenuto e promosso l’idea di utilizzare il business come “forza positiva” (as a force for good) perseguendo modelli di trasparenza e performance di qualità socio-ambientale. Negli Usa queste realtà vengono definite B-Corp e si sottopongono volontariamente a precise valutazioni per misurare l’impatto sugli stakeholders (come vengono chiamati i portatori di interessi esterni alla società).

In Italia gli obiettivi sociali devono essere esplicitamente dichiarati. Se guardiamo all’esperienza della Fratelli Carli l’impegno sociale si fonda su cinque pilastri fondamentali: impiego nel ciclo produttivo di materiali in prevalenza riciclabili e biodegradabili; uso esclusivo di energie rinnovabili; approvvigionamento da fornitori locali che a loro volta esercitano la propria attività nel rispetto di principi di sostenibilità; cura e motivazione del personale attraverso il riconoscimento di premi e formazione in sostenibilità, nonché con l’impiego di un’elevata percentuale di quote rosa; promozione di buone pratiche per una corretta alimentazione e sostegno a iniziative umanitarie.

E da parte sua presentando nelle scorse settimane la scelta di far diventare Eolo società Benefit, il fondatore e presidente Luca Spada ha sottolineato che «fin dalla sua nascita, Eolo ha avuto una missione inclusiva e l’obiettivo di generare un impatto positivo sui territori in cui opera. La nostra mission era e rimane quella di portare internet dove gli altri non arrivano, abilitando i territori svantaggiati del Paese perché difficili da raggiungere o perché a scarsa densità di popolazione. Questo passaggio statutario è l’evoluzione naturale del nostro impegno, la formalizzazione di quanto, giornalmente, facciamo sul territorio e di quanto ancora possiamo fare a supporto di una Italia sempre più digitale e inclusiva, che garantisca il diritto alla connessione a tutti, a prescindere dalle caratteristiche orografiche del territorio dove sono nati».

Anche se la normativa italiana è molto recente non si può dimenticare che la logica delle società benefit ha in Italia una lunga tradizione: dalle formule cooperative nate dell’Ottocento all’esperienza di Adriano Olivetti negli anni ’50, è sempre stata viva l’attenzione alla dimensione sociale come strettamente collegata alla dinamica economica. E anche senza fare notizia sono moltissime le imprese “capitalistiche” che attuano iniziative di welfare aziendale, che gestiscono asili-nido per i figli dei dipendenti, che hanno un’attenzione costante all’ambiente. Certo, ci sono anche le “pecore nere” che si muovono nella direzione opposta e che magari fanno più notizia: la speranza è che queste ultime divengano una minoranza sempre più piccola.

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