Widgetized Section

Go to Admin » Appearance » Widgets » and move Gabfire Widget: Social into that MastheadOverlay zone

Chiesa

CONTI PULITI

SERGIO REDAELLI - 18/06/2021

Il torrione di Niccolò V sede dello Ior (foto Imagoeconomica)

Il torrione di Niccolò V sede dello Ior (foto Imagoeconomica)

Negli anni ci hanno provato invano numerosi pontefici. Restituire un’immacolata immagine internazionale allo IOR, l’Istituto per le opere di religione, cioè la banca vaticana accusata in passato di essere coinvolta negli affari illeciti di Michele Sindona, nelle vicende che portarono al crac del Banco Ambrosiano e alla misteriosa morte di Roberto Calvi – trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra – sembrava una missione impossibile. Un’impresa davvero improba cancellare i sospetti che fiorirono all’epoca della presidenza Marcinkus, presunto massone, il cui motto era “mettiamo i soldi dove rendono di più, non si può dirigere la Chiesa con le Avemaria”.

Solo a gennaio si è chiusa l’ultima “pagina nera” con la condanna a otto anni e undici mesi dell’ex presidente Angelo Caloia, il banchiere che nel 1989 aveva sostituito Marcinkus alla guida della banca vaticana e che l’ha poi presieduta fino al 2009. Accusato di peculato, appropriazione indebita aggravata e auto riciclaggio. Un’opaca vicenda di reati finanziari, la svendita di immobili vaticani tra il 2001 e il 2007 in provincia di Roma, Milano e Genova, ceduti a meno di cento milioni pur valendone molti di più. Secondo la sentenza pronunciata dal presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, Caloia e altri imputati avrebbero incassato la differenza.

Ora la buona novella: “Lo IOR del passato non esiste più né vi sono le condizioni per un ritorno al passato”, annuncia Jean-Baptiste de Franssu, economista e banchiere francese che dal 2014 presiede la banca vaticana. In sette anni tutto è cambiato, le persone, le procedure, i progetti e i riconoscimenti ricevuti: “Siamo in linea con gli standard internazionali – afferma in un’intervista al quotidiano economico Il Sole 24Ore – Lo IOR ha ottenuto la promozione di Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa che vigila sull’antiriciclaggio e il finanziamento al terrorismo. Ed è ora che anche la percezione esterna si adegui alla nuova realtà. Siamo piccoli ma serviamo fedelmente la Chiesa e il papa”.

L’orgogliosa rivendicazione del lavoro svolto su mandato di papa Francesco segna un rapporto Chiesa-denaro finalmente etico e trasparente. Archiviati i problemi interni, le inchieste giudiziarie, gli antichi sospetti di essere una banca offshore e un “paradiso fiscale”, l’Istituto per le Opere di Religione annuncia con soddisfazione i conti del 2020 che registrano un utile netto di 36,4 milioni, in linea con l’anno precedente. Bilancio ottenuto in modo coerente con l’etica cattolica e ripartito all’insegna dei principi e della dottrina sociale della Chiesa: 27,3 milioni a disposizione del Santo Padre e 9,1 ad incremento del patrimonio e per i futuri investimenti tecnologici.

Al di là dei numeri, la soddisfazione dei vertici dell’istituto di credito è motivata dai risultati del cambio di marcia morale che Francesco ha impresso alla finanza vaticana. Un percorso passato nel 2015 dall’accordo con gli Usa su fisco e antiriciclaggio, proseguito con il varo del nuovo statuto dello IOR (esternalizzazione dei revisori, innalzamento a sette componenti del board laico di governo, restrizioni temporali degli incarichi amministrativi) e con l’annuncio che l’Agenzia delle Entrate americana ha inserito la Santa Sede e la Città del Vaticano tra gli enti che, in tema di sicurezza finanziaria, si sono dati norme di verifica conformi ai migliori parametri internazionali.

In pratica gli Stati Uniti riconoscono la banca vaticana come intermediario qualificato per operare sui mercati, con codice Iban e tutte le certificazioni a posto. Non è un caso che proprio dallo IOR sia partita la segnalazione di un’anomalia nello strapagato acquisto dell’immobile in Sloane Avenue a Londra, per il quale a giorni si aprirà il processo. Al centro la sospetta richiesta di fondi per 150 milioni allo Ior per rinegoziare un mutuo, richiesta passata attraverso l’azione di controllo a cui la banca è tenuta secondo i nuovi standard. Successivamente la magistratura ha aperto un’inchiesta che ha coinvolto alti ex dirigenti della Segreteria di Stato.

Ma le riforme volute da Francesco e la necessaria ricerca di manager laici esperti (e superpagati) che sappiano realizzarle non sono indolori. Protesta il personale laico vaticano che si sente ingiustamente colpito dalla politica di austerità imposta dal papa dopo la pandemia e il brusco calo delle entrate. Una petizione dei dipendenti “denuncia” i presunti privilegi, gli stipendi fuori parametro e gli appartamenti di prestigio concessi ad alcuni dirigenti esterni. Lamenta il taglio delle retribuzioni, gli interventi su turn over, straordinari, promozioni operati sul personale ordinario e auspica un “rigido inquadramento salariale dei dirigenti laici entro limiti coerenti con lo spirito di servizio alla Chiesa”.

Problemi sindacali a parte, rendere lo IOR fedele alla missione originaria è più che un’esigenza un obbligo morale. L’istituto sorse sulla fondamenta della commissione cardinalizia Ad Pias Causas costituita da Leone XIII nel 1887. Per volere di Pio XII assorbì nel 1941 l’Amministrazione per le Opere di Religione e venne ufficialmente istituito dallo stesso papa Eugenio Pacelli nel 1942. Mezzo secolo dopo ci mise mano Giovanni Paolo II e arriviamo al nuovo statuto di papa Francesco. Una rivoluzione. Il primo ottobre 2013 viene divulgato al pubblico il primo rapporto annuale dello IOR. La nuova parola d’ordine non è più “gli affari sono affari”, ma trasparenza.

Facebooktwittergoogle_plusredditpinterestlinkedinmail

You must be logged in to post a comment Login