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Pensare il Futuro

GUERRE DEL GAS

MARIO AGOSTINELLI - 02/07/2021

eu-greenSiamo da tempo abituati a leggere notizie che riguardano dure contese per il passaggio di gasdotti nei territori del Medio Oriente, dell’Ucraina, della Grecia o sotto il mar Nero, Baltico o Mediterraneo.

La nostra attenzione è spesso distolta (e a questo ci pensano i media italiani più diffusi) dal ruolo centrale che la multinazionale italiana ENI riveste in autentiche tensioni che non sempre vengono risolte solo diplomaticamente.

Nel caso più attuale, che riguarda proprio l’approdo di metanodotti sulle coste pugliesi e l’impiego di metano fossile per nuove centrali (come a Civitavecchia) o per la produzione di idrogeno blu, con il sotterramento della Co2 sotto il mare a Ravenna. ENI ha un enorme potere sui ministeri del nostro governo e svolge una attività di lobby molto rilevante a livello europeo per difendere i propri bilanci.

Riporto qui la verbalizzazione dell’ultimo incontro svolto tra gli ambasciatori della UE (3 Giugno 2021) per definire lo stop a nuove infrastrutture a gas metano che l’ENI vuole assolutamente avviare per i prossimi venti anni, in spregio al Green New Deal Europeo e, possibilmente, addirittura con il sostegno di fondi pubblici.

“L’Agenzia internazionale per l’energia ha recentemente affermato che i nuovi investimenti nei combustibili fossili non sono coerenti con l’obiettivo dell’accordo di Parigi del 2015 di mantenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi.

Gli ambasciatori dell’UE non sono riusciti a raggiungere un accordo mercoledì (2 giugno) sul fatto che i progetti transfrontalieri di gas naturale debbano continuare a ricevere finanziamenti dall’UE, ai sensi del regolamento TEN-E, attualmente in fase di revisione.

La disputa arriva dopo che un gruppo di Stati membri ha presentato un nuovo documento congiunto che spinge per regole che escludono i finanziamenti ai combustibili fossili - che si oppone direttamente alla proposta trapelata dal Consiglio europeo, redatta dalla presidenza portoghese.

Lo scorso dicembre, Bruxelles ha proposto una revisione delle regole TEN-E, escludendo il supporto dedicato alle infrastrutture petrolifere e del gas, nel tentativo di allineare un elemento chiave della politica energetica con gli obiettivi del Green Deal.

Austria, Belgio, Germania, Danimarca, Estonia, Spagna, Irlanda, Lussemburgo, Lettonia, Paesi Bassi e Svezia hanno sostenuto questa posizione, sostenendo che il regolamento TEN-E era una “cartina di tornasole” dell’impegno dell’UE per raggiungere la neutralità climatica. (l’ITALIA – cioè l’ENI – HA VOTATO CONTRO)

“TEN-E non deve facilitare gli investimenti nelle infrastrutture per i combustibili fossili né la miscelazione di idrogeno con combustibili fossili”, ha affermato il non-paper, visto da EUobserver. Il cosiddetto processo di “miscelazione” si verifica quando l’infrastruttura del gas esistente viene modificata per mescolare l’idrogeno con il gas naturale.

Il documento congiunto afferma anche che le regole dell’UE per i progetti energetici transfrontalieri devono consentire un percorso “lontano dalla dipendenza dai combustibili fossili” al fine di “evitare effetti lock-in e investimenti affondati” – in linea con l’approccio delle organizzazioni ambientaliste e verdi.

È ridicolo che alcuni stati stiano ancora trascinando i piedi”, ha detto Tara Connolly dell’ONG Global Witness. Evidentemente si riferiva anche all’Italia. Cosa ne dice il Ministro Cingolani?

Il mese scorso, lo stesso gruppo di 11 paesi ha chiesto per la prima volta di interrompere il finanziamento dei combustibili fossili secondo le regole dell’UE per i progetti energetici transfrontalieri. “Non abbiamo bisogno di più combustibili fossili! Possiamo fare la transizione”, ha twittato il ministro austriaco per il clima Leonore Gewessler. Un recente rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia con sede a Parigi ha concluso che i nuovi investimenti nei combustibili fossili non sono coerenti con l’obiettivo dell’accordo di Parigi del 2015 di mantenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi.

Possibile che anche quando è in atto una svolta positiva e decisiva per la lotta climatica, il nostro Paese guardi sempre da un’altra parte?

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