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Artemixia

LA CITTÀ CHE SALE

LUISA NEGRI - 15/10/2021

 

Vivo nella mia città da quando sono nata.

La conosco come fosse un familiare, con i suoi difetti e pregi: generosità e parsimonia, ambizioni e riservatezza, efficienza e prudenza. Da una quindicina d’anni alterno la mia vita qui a soggiorni sul Lago Maggiore, dove è una parte delle mie radici.

Mia madre era nata a Luino perché suo padre, un ravennate di Alfonsine, vi era stato condotto dalla sua professione. Mentre la nonna materna, svizzera, aveva visto la luce a Muralto di Locarno, da una famiglia con antiche radici in Ascona.

Papà veniva invece dalla provincia di Novara, per via paterna, ma sua madre era figlia del Verbano, di Angera.

Le nostre domeniche negli anni Sessanta erano per tale motivo frequente meta di gite sul lago. Non rinunciavo mai ad infilarmi in macchina con mamma e papà, anche se sapevo che al ritorno mi aspettavano lezioni e compiti. Così partivo col cuore leggero e rientravo col peso del rimorso per quanto avrei dovuto sgobbare dopo. Ma intanto avevo rivisto il nostro lago, passeggiato sotto la galleria di platani di Luino o in quella che gli angeresi chiamano l’Alea. E visitato la Rocca o la chiesina della Madonna del Carmine con la magnificenza delle pitture di Bernardino Luini. Quella pausa di cielo e di lago mi curava ogni volta, bruciavo le malinconie dell’adolescenza nel sole e nell’azzurro, e così è stato per sempre.

Avrei voluto nascere sulle rive del Verbano, invece sono nata tra le colline sopra il Lago di Varese. Del quale solo in età adulta ho scoperto quella luce limpida e unica che ne esalta la superficie liscia e argentea. Così mi sono ritrovata a fare paragoni tra località di uno stesso territorio. E ho sempre sofferto se mi trovavo a confrontare bellezza e trascuratezza. Anni fa scrivevo per Tracce, rivista di cultura edita da Lativa, mi occupavo di una rubrica: Incontri e Confronti. Così raccontavo di certi luoghi dove si notavano cura e rispetto e sottolineavo per contro i difetti e le potenzialità di casa nostra. Era nella seconda metà degli anni Novanta e, l’estate, si girava in scooter. Vedevo la cura di Locarno, Lugano, Stresa o Baveno, ma allorché si entrava in Varese ne subivo la trascuratezza e si doveva per di più fare lo slalom per evitare le buche, lo scrissi, così come scrissi anche dell’incuria di Luino. Che oggi appare invece in gran parte rifiorita e risanata da buone amministrazioni.

Ricordo anche una gita a Cortina in auto e la ‘scoperta’ del costo dei parcheggi in centro: molto meno cari che a Varese. Negli anni successivi, per troppo tempo, continuai a non avere riscontro qui delle promesse urbi et orbi del dopo Tangentopoli, osservavo piuttosto una città in sofferenza.

Ora noto novità e cambiamenti. Alcuni mi hanno fatto particolare piacere. La torretta di Villa Mirabello, ammalorata da tempo, è stata risanata come la villa, e i due parchi pubblici comunicanti tra loro appaiono curati e fioriti. Le imposte delle finestre della bella dimora del Duca d’Este, sede della Municipalità, e prima fessurate come le chiostre dentali dei vecchi, sono finalmente in via di totale risanamento, così come la Villa Toeplitz dove portavo un tempo le mie bambine a giocare. Rifatto il fondo sconnesso delle viuzze interne, è stato rimesso in sesto l’intero parco, col ripristino dei giochi d’acqua. Villa Mylius è a sua volta in fase di totale recupero. Ma si sono visti anche piccoli miracoli, come la rinascita del ponte pedonale di via Magenta sulla Ferrovia dello Stato, tutti provvedimenti che sembravano impossibili dopo decenni di inerzia e di lamentazioni di “mani legate “.

Chi osserva con obiettività- e sa- può continuare da solo nell’elenco delle cose buone previste, perché tante, e più importanti ancora, le stiamo già vedendo in opera nei cantieri aperti della città. Come i lavori di piazzale Kennedy e quelli per la Caserma di Piazza della Repubblica, incredibilmente in via di risanamento, dopo incomprensibili esborsi a spese nostre, attendismo e temibili crolli.

Siamo la piccola Versailles di Milano, come scriveva Giacomo Leopardi alla sorella Paolina. E, anche grazie a questa vicinanza, potremmo-potremo-essere La città che sale di Boccioni, dove cavalli e cantieri corrono finalmente insieme. L’opera è del 1910-11, esattamente gli anni in cui a Varese si costruivano il Grand Hotel Palace e il Grand Hotel Campo dei Fiori, due gioielli del Sommaruga che avrebbero condotto a Varese un turismo internazionale invidiato nel mondo – il primo ancora oggi, il secondo …chissà?

Da vecchia varesina, e amica dell’arte, credo e spero nella promettente e rassicurante immagine di una ‘corrente estetica’, ma non solo estetica, improntata anche alla continuità.

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