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Cultura

VITA BUONA

EDOARDO ZIN - 04/11/2021

rigoniCaro Mario,

scusami l’irriverenza con cui ti chiamo per nome e se ti do del “tu”. Non per finta familiarità, ma in ricordo di quella vicinanza di idee e di valori e della cordiale accoglienza dimostratami in occasione delle tre visite che ti feci nella tua “baita” in Asiago. Allora rispettosamente mi rivolgevo a te con il tuo cognome e tu ricambiavi con “caro Zin”. Era il rispetto che ogni discepolo deve avere per il maestro!

Ti penso ora Lassù, sulla cengia più alta che ci sia, avvolto nell’eterna musica angelica, elevato sulle misere cose di noi poveri terreni, seppur dominati da un bisogno insostituibile di nuova vita, di chiari orizzonti, di cieli infiniti. “Ti penso immerso – come tu scrivesti – in un tempo irreale dove cammini dentro come in sogno. E cose ti appariranno chiare in quella luce che nasce da se stessa”.

Per averti più vicino ho messo in sottofondo il coro di “Venti giorni sull’Ortigara” e davanti a me ho la panoramica dei liberi Sette Comuni – che non furono mai asserviti dalla Serenissima – attorniati dalle cime di monti il cui nome è entrato nei libri di storia e che ci rammentano la catastrofe della prima guerra mondiale: Cima Undici, cima Portule, il Cengio, Cima Dodici, l’Ortigara, la breccia più facile per gli austriaci per sfondare il fronte italiano e giungere in pianura.

Qui, tre anni dopo l’inutile tragedia, quando le macerie erano ancora fumanti, le facciate diroccate, piazza Pertile un deposito di rottami e detriti, nascesti tu, il 1° novembre di cento anni fa, terzo di sette figli da mamma Annetta e da papà Battista Rigoni, a cui fu dato il soprannome cimbro di “Stern”.

E venne la giovinezza che trascorresti su ben tre fronti di guerra: la Francia, la Grecia, l’Albania. Durante la ritirata di Russia, ti fu commilitone Nelson Cenci, che noi qui a Varese ricordiamo con stima e affetto. Quando ti fu ingiunto di arruolarti nell’esercito nazista, tu rispondesti “no” e fosti internato dalla primavera del’44 a quella dell’anno successivo nel campo di concentramento di Hohestein, nella Prussia orientale, dove provasti la peggior tragedia del nostro tempo. Finisti di essere un uomo e diventasti un numero. Da questa esperienza traesti, tu scrittore non di vocazione, le pagine del “Sergente della neve” dettato da ragioni morali più che intellettuali. E incominciò il tuo successo letterario.

Negli ultimi tuoi anni, ti dedicasti, assieme a Luigi Meneghello, a Andrea Zanzotto e a Bepi de Marzi ad un’altra battaglia: quella della salvaguardia del paesaggio, della natura, della flora e della fauna, della storia, le tradizioni, la cucina del tuo altopiano. E raccontasti storie con la tua scrittura chiara, pulita, come un tempo si raccontavano nella stalla durante il “filò” invernale. Sapevi che se l’uomo taglia le radici con la natura, diventa devastatore di se stesso.

Anch’io un anno, spinto dalla mitica Maria Teresa, partecipai alla “grande Rogazione”, una tradizione che si tiene da sei secoli, la vigilia dell’Ascensione. Una peregrinazione propiziatoria per chiedere un buon raccolto: un itinerario di circa 30 chilometri da compiere in tredici ore, attraverso i prati pettinati da un’agricoltura sana, i pendii coperti da fitti boschi di larici, abeti e betulle, con varie soste durante le quali si condivideva pane e companatico, s’intrecciavano dialoghi, le ragazze donavano ai ragazzi uova colorate con le erbe e i fiori raccolti il giorno precedente, in gentile contraccambio del kuko, un fischietto di terracotta variopinto a forma di gallo o di soldato napoleonico che avevano ricevuto in dono il giorno di San Marco.

Sono tempi che non possono tornare: oggi i fuoristrada segnano come ferite la cotica erbosa dei pascoli e i motocrossisti arrivano fino alla cima del Portule, facendo fuggire le pernici bianche. A quei ragazzi diresti: “Spegnete lo smartphone e aprite un libro, conservate la memoria delle cose buone perché ciò che si dimentica può ritornare!”

Ogni tua lettera terminava con “Le auguro, caro Zin, una vita buona”. Io spero di ritrovarti, quando sarà la mia ora, e sperando nella misericordia del Signore, nel Vertice della nostra ascesa, nel Regno dell’armonia e della luce che abbacina più delle nevi e dei ghiacciai.

Edoardo

 

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