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Società

SIAMO ANCORA CRISTIANI?

LIVIO GHIRINGHELLI - 04/05/2012

Siamo ancora cristiani? È una domanda che sento di pormi con tutta l’ansia per una risposta che ritengo personalmente non gratificante per i tanti dubbi insorgenti, le constatazioni dolorose, la consapevolezza di debolezze costituzionali irrisolte. Intorno avverto la scomparsa in vari momenti dell’orizzonte comunitario, il trionfo del crescente individualismo e del nichilismo egolatrico; la dittatura delle emozioni copre a malapena la perdita di un autentico senso della fedeltà e dell’autenticità, mentre si è incapaci di perseveranza; se va tonificato il senso d’appartenenza nell’affievolimento dei principi etici, si scorge quanto inadeguato è il richiamo alla sola coscienza. La parresia, la franchezza e audacia di parola, l’assunzione coraggiosa delle responsabilità che ci toccano in presenza di una Chiesa affaticata, afflicta, sembra riguardino poche voci profetiche.

E si potrebbe continuare con le note negative, assistendo alla privatizzazione della vita con le conseguenti chiusure autoreferenziali, l’insicurezza psicologica diffusa, il clima di generale indifferenza e banalità, il messaggio corrosivo e pervasivo delle televisioni. Persino il giorno festivo ha registrato un cambio di destinazione d’uso. Ora, di fronte a questa specie di scisma muto, che affligge anche il mondo protestante nella fuga sostanziale dalla fede, ci si deve render conto che il nostro non è un Dio astratto e intimistico, onde un credere a modo mio, una fede su misura, né la Chiesa è riducibile a un movimento. Bisogna rimobilitarsi, saper coniugare l’inquietudine della ricerca spirituale con il nostro impegno nella storia, superare lo stadio della passività e della paura, riaccendere la speranza, nella consapevolezza della complementarietà dei diversi carismi, soprattutto animare la carità nella comunità ecclesiale, poiché non c’è fede senza la carità (non la si può limitare tra l’altro a un mero ruolo suppletivo).

Non possiamo sottovalutare il conforto che ci viene dalle grandi manifestazioni, dalle estese adunanze celebrative e propositive; il gusto del numero però non può andare di pari passo con la negazione della relazione, del dialogo, del confronto.

Sulla scorta dei deliberati del Concilio Vaticano II i laici devono rendersi protagonisti e corresponsabili, educarsi ai temi della mondialità e a diversi stili di vita, con il costante impegno per una nuova polis; costruiamo tessuti di relazione ampi ed accoglienti, non asserragliandoci nei ghetti. C’è necessità di un missionarismo di ritorno. Vivere radicalmente il Vangelo significa non cedere al temporalismo o alle mode, partire dagli ultimi e dagli emarginati, per demolire gli idoli , costruttori di fraternità e di un’equità generazionale, che è andata dispersa nella coscienza collettiva.

Ci si è potuti lamentare del silenzio di Dio di fronte all’accamparsi del male sul mondo oltre ogni possibilità di comprensione, ma non è meno preoccupante il torpido sopore dell’indifferenza successo alla rivolta. Qui sta il vero tramonto dell’Occidente.

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