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Attualità

VICINI DI STADIO

CESARE CHIERICATI - 26/11/2021

san-siroHanno chiesto all’amico Giuseppe Adamoli come mai sulla sua pagina Facebook si sia occupato della disputa in corso a Milano sulla costruzione o meno di un nuovo stadio e sul conseguente abbattimento, totale o parziale, del glorioso Meazza da tutti chiamato San Siro, il quartiere periferico da cui ha mutuato il suo storico nome. Ha risposto semplicemente “perché amo Milano che dà luce e forza a tutta la Lombardia. Perché la rigenerazione di quel quartiere è un enorme fatto sociale”. Perché- aggiungiamo – la metropoli oltre ad essere la riconosciuta stella polare della Lombardia, è il punto di riferimento economico, culturale e sportivo di tutta l’Italia. Milan e Inter fanno parte a pieno titolo della storia meneghina e di quella patria, in versione calcistica, a partire dalla fine dell’800. Come le aziende milanesi grandi o piccole che siano, le università, la Scala, La Chiesa ambrosiana, la moda, il design, i musei, le varie organizzazioni culturali, le istituzioni pubbliche, quelle sociali e quelle umanitarie. Le due squadre nel secondo dopoguerra hanno veicolato nel mondo il nome di Milano inserendosi stabilmente, pur tra alti e bassi, nell’élite del calcio internazionale. Hanno richiamato turisti e tifosi a Milano da ogni parte d’Europa, le loro maglie, come quelle di altri grandi club, colorano le periferie dell’Africa e dell’Asia dove migliaia di ragazzini le indossano sognando i campioni di ieri e di oggi. Costruire un nuovo stadio a Milano non è dunque un fatto privato delle due società. È molto di più perché si tratta di rispettare e di alimentare una grande tradizione e al tempo stesso di contribuire a ridefinire il destino di una fetta molto importante della Milano novecentesca che seppe darsi in rapida successione l’Ippodromo del Galoppo nel 1920, quello del Trotto e lo stadio di San Siro nel 1925, quest’ultimo progettato dalla mano felice dell’architetto Stacchini e poi ristrutturato a più riprese.

Al netto dei necessari ammodernamenti dei tre impianti, la situazione è rimasta sostanzialmente immutata fino al 31 dicembre 2013 quando la SNAI chiuse i cancelli del trotto, ufficialmente per la “crisi delle scommesse nel settore dell’ippica”. Centocinquantamila metri quadrati resi di colpo edificabili a causa dell’estinzione della funzione (le corse al trotto appunto) cui erano destinati. Si prospettavano nuove speculazioni di largo respiro sventate, almeno in parte, con un vincolo paesaggistico sollecitato da alcuni battaglieri comitati locali confluiti nella sigla “Trotto bene comune”. Grazie al vincolo si sono salvate le scuderie all’Inglese, le più antiche, e quelle costruite negli anni ’50. L’area completamente abbandonata è in attesa di una rigenerazione accettabile. Si è, nel giro di otto anni, trasformata in un tumore urbano indecoroso per Milano e per il quartiere. Un degrado endemico proprio al limitare della tribuna dei “Distinti” del Meazza che Milan e Inter vorrebbero demolire dopo aver ultimato la costruzione di un nuovo impianto multifunzionale (dotato di spazi commerciali, musei, servizi educativi, cinema, spazi di sosta e ristoro) capace quindi di generare ricavi per i bilanci non proprio floridi delle due squadre.

Al momento due progetti (“Gli anelli e Populus”), selezionati dalle società si contendono la scelta finale. Da tempo però un agguerrito fronte del no – Massimo Moratti, Roberto Donadoni, l’ex vicesindaco Luigi Corbani tra i membri più popolari e attivi – contrappone un progetto alternativo di ristrutturazione del vecchio Meazza, senza quindi consumo di suolo, firmato da due ingegneri varesini, Riccardo Aceti e Nicola Magistretti. Una proposta che punta alla conservazione di San Siro quale monumento cittadino e della storia del calcio mondiale. Gli oppositori ravvisano nel progetto di Inter e Milan profili speculativi e irregolarità normative tali da giustificare ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato. Mentre si annuncia questo bracco di ferro politico e giudiziario di lunga durata, con il sindaco Sala disposto a discutere ma fermo sul sì al nuovo stadio, sulle pagine milanesi del Corriere della Sera è apparsa quella che a noi pare una ragionevole ed equilibrata proposta dell’architetto Paolo Caputo: “…oggi la soluzione migliore sarebbe quella di riportare il Meazza allo stato precedente (quello realizzato da Stacchini nel ‘25, ndr) ritrovandone la qualità architettonica e una dimensione congrua per il calcio femminile, per i concerti, per manifestazioni legate alla cultura, all’intrattenimento di massa e allo spettacolo, ed affiancare al vecchio stadio una struttura ipermoderna per soddisfare le esigenze dei due club a vocazione planetaria. Inter e Milan incarnerebbero una nuova potente centralità urbana fondata sullo sport, costituirebbero il motore economico produttivo di una polarità di ben più ampio valore e portata in termini sociali e collettivi”.

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