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Società

FORESTIERI

LIVIO GHIRINGHELLI - 17/12/2021

ospitalitaNella mitologia greca (Odissea XIV, vv.56-59) il porcaio Eumeo, che non ha riconosciuto Ulisse, il vecchio padrone, esclama: «Straniero non è mio costume trattar male gli ospiti: tutti vengono da parte di Zeus, gli ospiti e i poveri». Di rincalzo nella Bibbia (Deuteronomio, 10,19) l’invito, assai imperativo, è ad amare il prossimo, memori dell’antica cattività, «perché anche voi foste forestieri nella terra d’Egitto». In Genesi 18,1-8, Abramo alle Querce di Mamre accoglie con un banchetto sontuoso, allestito in tutta fretta, tre visitatori misteriosi. L’autore della Lettera agli Ebrei,13,2 vi ravvisa degli angeli. Vangelo di Matteo 25,40: Tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me. Per i cristiani Dio è lo straniero. Ecco per i Padri greci la divina filoxenia, cioè l’amore incondizionato di Dio per lo straniero, l’ospitalità senza limiti, senza frontiere e la xenodochia dei Padri del deserto per ogni visitatore.

La Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 proclama che ogni individuo ha diritto di lasciare il proprio Paese e di ritornarvi (art.13); ogni individuo ha diritto a una cittadinanza di cui non può essere arbitrariamente privato, né del diritto di mutarla (art.15). Tutto questo discende dall’universalismo dei Lumi come dalla grade eredità cristiana. La frontiera è invece figlia della modernità, delle guerre coloniali. Prima del 1914 solo l’Impero russo esigeva un visto, prima del trionfo della burocrazia dell’esclusione. La caduta dei muri a seguito della Guerra Fredda come lascito paradossale ci ha consegnato al risveglio del populismo, al ritorno del tribalismo, all’atmosfera asfittica dello Stato nazione, il processo di globalizzazione ha significato in troppi casi non una liberalizzazione, quanto un’involuzione a causa di un’economia predatoria, sempre più lontana da qualunque istanza etica. Lo sfruttamento della paura dello straniero obbedisce a calcoli bassi e cinici di fortuna elettorale. Misere scusanti: non si può accogliere tutta la miseria del mondo, prioritario è difendere i diritti dei propri cittadini. Risultati l’endogamia, la diffidenza.

Così si affronta in Libia la scorciatoia di finanziare in modo occulto milizie e trafficanti, a ostacolare l’esercito della fame nella sua avanzata travolgente, favorendo la tratta schiavistica in ispregio di ogni diritto umano all’esistenza.

L’ospitalità non può dipendere dalla sola iniziativa individuale, bensì comporta una soluzione collettiva e politica, di civiltà; non si tratta di un lusso idealistico, né di rêverie sentimentale, bensì di realismo di fronte al dissesto climatico, all’esaurirsi di molte risorse tradizionali, a una guerra intestina del genere umano contro se stesso. L’Europa dell’antica vocazione comunitaria non può risolversi nella sovrapposizione di Stati nazionali. Solo così può avere soluzione positiva la trasformazione dell’hostis in hospes e può verificarsi la riassunzione piena nel bisogno del termine fratelli.

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