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Parole

L’ALTRA VITA

MARGHERITA GIROMINI - 17/12/2021

Edgar Morin

Edgar Morin

Tormentati dalla pandemia ancora lontana dalla conclusione possiamo trovare conforto nelle parole del centenario più vigile, profondo e competente esistente al mondo: Edgar Morin, filosofo, sociologo, pedagogista, scrittore.

Morin sa curare l’anima perché è in grado di offrire una consolazione attiva: alle parole rassicuranti unisce un’analisi lucida e puntuale della situazione mondiale, mentre ci incalza con le evidenze e ci sprona a modificare il presente.

Ci costringe ad ammettere che un’altra vita, un altro mondo, un altro futuro sono possibili, anzi auspicabili, se non indispensabili per la sopravvivenza dell’umanità.

Ecco perché alle tesi di Morin, centenario dal luglio scorso, bisogna credere. Perché se nutre fiducia nella vita pur tanto complessa un uomo alle soglie del grande salto, un grande vecchio che non ha mai smesso di credere nell’uomo, neppure adesso che non è lontano dalla fine, allora c’è speranza per tutti noi individui impauriti, scossi dalle fondamenta e ancora disorientati per la rapidità con cui si sono sviluppati gli eventi che ci hanno denudati delle nostre certezze.

Morin scrive un libro sull’esperienza della pandemia: non è detto che sia il suo ultimo, anche se è ultimo nella sua lunghissima serie di contributi. Chiaro, inequivocabile e soprattutto pedagogico è già il titolo: “Cambiamo strada- le 15 lezioni del coronavirus”.

La crisi planetaria in cui siamo precipitati ha proporzioni gigantesche che hanno ingrandito i problemi dovuti all’impatto climatico e ambientale e ci ha inflitto uno scossone nuovo ma per i più attenti non inatteso.

La prima lezione ci descrive la pandemia come il sintomo estremo della crisi dell’attuale modo di pensare e di agire: nulla sarà come prima, dopo. Urge un’inversione di paradigma: un cambiamento di rotta totale, reso possibile solo da un processo lungo e doloroso che si scontra con le enormi resistenze delle strutture e delle mentalità vigenti.

Mettiamoci alla ricerca di categorie nuove per allontanarci dal punto dove ci ha trasportato l’eccesso di tecnologia: spostiamoci “dalla testa alla pancia”, sostiene Morin. Dalla testa che è stata assorbita dagli spettacolari risultati della tecnologia applicati ad ogni campo del sapere, dall’economia alla sociologia alla psicologia alla storia.

Come ha ricordato anche Papa Francesco, abbiamo vissuto decenni di sopravvalutazione della tecnoscienza. Ci siamo assuefatti alla visione meccanicistica di un mondo dove tutto si può sanare con la tecnica, mentre oggi ci scontriamo a livello mondiale con una diffusa precarietà sociale, economica, culturale.

La pandemia ci ha offerto l’opportunità di pause forzate che hanno facilitato il ripensamento del senso dell’esistenza, della condizione umana, dell’incertezza delle nostre vite, del rapporto con la morte.

Ci si augura che un po’di quel tempo sia servito anche per ripensare la sfera familiare e sociale, per lasciare spazio a una vita interiore spesso negata da un contesto prevalentemente rivolto all’esterno.

Abbiamo sperimentato la fragilità della concezione di scienza e di medicina in particolare, toccando con mano la limitatezza del pensiero e dell’intelligenza ormai inadatte da sole a gestire la complessità del reale.

Continua Morin: si poteva, si doveva, si può ancora, fare tesoro dell’esperienza maturata nel periodo più duro della pandemia per provare a costruire un nuovo concetto di solidarietà.

Una lezione esemplare è toccata ai governanti, sbalzati dal piccolo mondo del loro paese alla richiesta pressante di estendere la sfera dell’azione politica a un livello superiore, quello planetario.
Le lezioni di Morin ci chiedono di dare risposta alle sfide di questo momento storico. Ci impongono di intraprendere una via “politico-ecologico- economico sociale” che rovesci la globalizzazione tecnico-economica.

“Il post coronavirus è inquietante tanto quanto la crisi stessa. Potrebbe essere sia apocalittico sia portatore di speranza”, afferma il filosofo.

Io voglio credere, ho bisogno di credere che le lezioni di Morin sulla pandemia, tutte e quindici, siano portatrici e anticipatrici di speranza.

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